Ci fu un momento - narrativamente felice, ideologicamente imbruttente - in cui Giorgio Bassani si chiamava Giacomo Marchi. Il nome, Giacomo, era quello di uno zio: Giacomo Minerbi. Il cognome, quello della nonna materna, cattolica: Emma Marchi. Un ottimo pseudonimo per pubblicare in quegli anni, in Italia.
Era il 1940, le leggi razziali erano state promulgate da meno di due anni, gli ebrei italiani erano ormai apertamente incalzati da quello stesso fascismo che molti di loro avevano chi sostenuto, chi accettato. E Ferrara era la città sbagliata per pubblicare il libro di uno scrittore esordiente, ebreo.
Così Giorgio Bassani, nato per sbaglio a Bologna nel 1916 ma ferrarese di famiglia, di infanzia e di giovinezza, fece uscire il suo primo libro a proprie spese (in 500 copie, pagando 5mila lire), con un nom de plume irreprensibile e stampato da una casa editrice minore di Milano, la Officina d'Arte Grafica Lucini, gestita da un suo cugino... Era la tarda primavera del '40, il libro s'intitolava Una città di pianura, era una raccolta di cinque racconti, scritti fra il 1936 e il 1939, e girò pochissimo, regalato solo a pochi amici (anche se Mario Alicata ne dirà un gran bene su La Ruota, segnalando l'autore a Cesare Pavese). «Un libro stampato, non pubblicato», diceva l'autore. Eppure - riletto oggi - risulta centrale nella vita e nell'opera di uno fra i massimi narratori di storie, non solo ferraresi, del nostro '900.
Curioso. È come se Giorgio Bassani avesse voluto dimenticare quei racconti. Accettò che fossero ripubblicati soltanto nel 1998, due anni prima della morte, nell'Appendice delle Opere raccolte nei Meridiani Mondadori, di cui quelle pagine giovanili sono invece le radici. E infatti negli ultimi anni sono stati riproposti più volte (ad esempio nel 2014 da Piero Pieri, per Feltrinelli). Ma ora tornano in un'edizione filologicamente definitiva, a cura di Angela Siciliano, giovane italianista dell'Università di Pisa, la quale ha ritrovato anche un gruppo di racconti che Bassani scartò dalla raccolta (quattro, di cui uno frammentario: Ottavio e Olimpia) e ha così rimesso al loro posto tutti i temi, gli stili, le atmosfere, le influenze e le prefigurazioni del futuro scrittore degli Occhiali d'oro (1958) e del Giardino dei Finzi-Contini (1962). Eccolo, il nuovo libro: Giorgio Bassani, Una città di pianura e altri racconti giovanili (Officina Libraria).
La gioventù dorata di Ferrara, le letture scambiate con gli amici, le feste, le partite al Tennis Club Marfisa d'Este, le prime brucianti passioni, e poi lo choc delle leggi razziali (che vent'anni più tardi racconterà nel Giardino più celebre delle nostre Lettere), l'ambiente anestetizzante e stretto della provincia, coi suoi riti ottusi e la doppiezza borghese, il fascismo in piazza e l'antifascismo in casa... Eccolo il Bassani prima di Bassani.
È quasi sempre così. Per la sua formazione intellettuale e umana gli anni giovanili, fra il '35 e il '40, sono fondamentali. Bassani si divide tra Ferrara, dove vive e osserva i personaggi che diventeranno protagonisti dei suoi libri maggiori; Bologna, nella cui Università studia Lettere, da pendolare; Firenze, perché bazzica l'ambiente della rivista Letteratura, fondata da Alessandro Bonsanti, e su cui nel '38 - lì sì col vero cognome Bassani - pubblica Un concerto, uno dei racconti che poi entreranno nella raccolta Una città di pianura; e il «gruppo dei sardi», tra cui spiccano Claudio Varese, Giuseppe Dessì e Mario Pinna, i «professorini» formatisi a Pisa e diventati suoi amici quando arrivano a Ferrara, fra il '36 e il '37.
«Sono proprio Varese e soprattutto Dessì, il suo padre letterario, cui Bassani sarà sempre legatissimo, ad aprigli la strada verso certi autori, che diventeranno per lui modelli di stile», racconta Angela Siciliano, autrice di una ricchissima introduzione. Ed ecco quindi Marcel Proust (la Recherche in quegli anni è il livre de chevet di Bassani), ecco Gustave Flaubert (da cui ruba l'inclinazione per certa satira sociale e di costume), ecco Rainer Maria Rilke, e quindi le riflessioni sulla natura dell'amore, la bellezza della donna e il «segreto» della Maternità... E poi - moltissimo - Antonio Delfini. Il ferrarese e il modenese. I due si conoscono a Firenze, tra Letteratura e il caffè «Le Giubbe Rosse». Si leggono e si recensiscono. Il racconto Teodoro, escluso da Bassani dalla raccolta Una città di pianura e rimasto inedito fino a oggi, di fatto è la scrittura capovolta del racconto Il fidanzato di Delfini. E diventano grandi amici quando si ritroveranno a Firenze dopo l'8 settembre del '43. Poi, agli inizi degli anni Sessanta, quando Bassani è direttore editoriale della Feltrinelli (dove riesce a fare uscire Il Gattopardo e ad aiutare diversi autori, come Manlio Cancogni e Franco Fortini), sarà il grande sponsor dell'amico, facendogli pubblicare le Poesie della fine del mondo.
Per il resto, come nota la stessa curatrice, nei racconti giovanili di Una città di pianura, sia quelli pubblicati in volume, sia quelli lasciati nel cassetto (La calunnia, Viaggio notturno e il bellissimo Teodoro, con quel protagonista che sembra un Grande Gatsby di provincia, e i frammenti di Ottavio e OLimpia), c'è già tutto il Bassani grande narratore. Che infatti è prima di tutto uno straordinario scrittore di racconti: dalle Cinque storie ferraresi con cui vince il premio Strega nel '56 a Gli occhiali d'oro, che non è propriamente un romanzo ma un racconto lungo. Qui dentro ci sono alcune soluzioni narrative che da lì sfrutterà sempre, come il finale aperto, sospeso, enigmatico (la figlia Paola mi dice che è il tratto distintivo di papà: «il non voler spiegare sempre tutto, ma lasciare un segreto, un piccolo mistero per il lettore»).
Il grande mondo della piccola provincia, dentro il quale l'intellettuale si trova a disagio, ma il vero scrittore sa trovare straordinari spunti letterari (come il mettere alla berlina la borghesia ebraica asservita al fascismo). E - vera cifra di Bassani - una scrittura densa, asciutta, levigata.Si chiamano classici.
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