«Prova a farmi ridere» macchine come attori

Al Manzoni la pièce scritta dall’inglese Alan Ayckbourn

Ferruccio Gattuso

Maurizio Micheli e il Teatro Manzoni, un rapporto che rimane stretto: nel 2001, l'attore pugliese vi passò per l'ultima volta con lo spettacolo Polvere di Stelle, qui tornerà a gennaio prossimo per La presidentessa insieme a Sabrina Ferilli con la regia di Gigi Proietti e, proprio questa sera, nello storico spazio milanese porta in scena fino al 28 maggio Prova a farmi ridere, commedia sofisticata di scuola inglese dal sapore sentimentale e satirico.
Per lui, che ama il palcoscenico quanto le mura di casa, quest'ultima fatica artistica ha del titanico: Micheli, infatti, esordisce per l'occasione nelle vesti di regista tout court, si mantiene cioè dietro le quinte, firma l'adattamento dall'originale di Alan Ayckbourn e si confeziona dunque un "doloroso" destino da deus ex machina (e osservatore scrupoloso) di una piéce brillante e ammonitrice sulle insidie della modernità. «Dopo trentasei anni di carriera - spiega Maurizio Micheli, un po' divertito, un po' malinconico - mi sono preso il diritto di fare esclusivamente il regista di uno spettacolo, senza recitarci. Un'impresa faticosa ma stimolante».
Nata dall'intuito dell'inseparabile compagna di lavoro e di vita Benedicta Boccoli: è proprio l'attrice - che con Micheli ha interpretato commedie come la già citata Polvere di stelle, Le pillole di Ercole, Anfitrione e Pluto - a proporre a Micheli l'adattamento di un testo che fa degli intrighi amorosi e di una implacabile critica al mondo della tv le proprie pietre angolari.
«Volevo fare una cosa nuova - spiega la Boccoli - Da anni le commedie le sceglie Maurizio, questa volta mi sono impuntata: mi sono messa a leggere testi nuovi e, dopo due anni, ho trovato questo. Sento la responsabilità della scelta e infatti, dopo molto tempo, sono alquanto nervosa: è un testo attuale che sa far ridere e allo stesso tempo fa riflettere».
E dunque qual è, in breve, la storia di Prova a farmi ridere? Sul set di una fiction sentimentale che non farà certo la storia, un regista (Pino Quartullo) con uno splendido avvenire dietro le spalle, nostalgico dei pochi fuochi d'artificio professionali di ieri, dirige i lavori affidandosi a un cast curioso: oltre agli attori in carne ed ossa, in questa strana realtà che potrebbe succedere anche domani, vi sono gli "attoidi", macchine pensanti programmate per recitare.
Una di queste ha le avvenenti fattezze di Benedicta Boccoli, androide recitante che va in cortocircuito e, dal guasto inspiegabile e miracoloso, guadagna il dono di ridere e far ridere. Un robot sexy e col cuore: facile che il giovane autore di fiction Adam (Massimiliano Giovanetti) se ne innamori, e altrettanto facile che l'esigentissima produttrice tv Pepperblum (Paila Pavese) non veda di buon occhio tutta questa anarchia.
«Gli attoidi - spiega divertito Maurizio Micheli - non sono poi così impossibili da pensare: in un mondo televisivo sempre più febbrile nelle produzioni, condannato a realizzare spettacoli 24 ore su 24 e a soddisfare un pubblico sempre più teledipendente, gli attori umani non possono reggere.

Già buona parte dei programmi ora sono reality e vedono persone comuni fare da tronisti: seduti tra il pubblico, vengono trattati da veri e propri opinionisti. Oppure prendete il Ridge di Beautiful, o la bionda Brooke: non sono forse macchine? Sempre uguali. Ecco, il robot non rompe le scatole e regge i ritmi di lavoro: si tratta solo di completare l'opera».

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