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Prova di forza per la libertà

Berlusconi ha sorpreso tutti rendendo immediatamente reale il suo sogno, quello del Popolo della Libertà. Lo ha fatto perché ha compreso che il vento dell’antipolitica agisce anche nello schieramento di centrodestra. Egli stesso lo ha giocato sin dall’inizio, ponendosi come diverso dalla politica dei partiti, dal «teatrino della politica». Se si fosse presentato al centro di una coalizione di partiti, sarebbe apparso un uomo di partito, annullando il messaggio che in lui sicuramente si è espresso: quello di un uomo prestato alla politica, ma non un politico vero. In questo doppio aspetto di Berlusconi sta la sua capacità di interpretare il sentimento di un Paese che non riesce ad esprimere un governo di libertà perché si trova di fronte un sistema di potere già costituito dal lungo dominio della sinistra sulla società e sulle istituzioni italiane.
La fine del partito cattolico nel ’93 ha tolto una mediazione importante per fare accettare al popolo della tradizione italiana il fatto che la cultura del Paese e le sue istituzioni fossero dominate dalla sinistra nelle sue varie forme, da quella comunista a quelle a sinistra dei comunisti. Quello italiano non è un popolo rivoluzionario e la cultura rivoluzionaria venne ad esso imposta mediante il fascismo. La crisi intra-cattolica degli anni ’60 e ’70 ha tolto al mondo cattolico la capacità di essere alternativo alla sinistra, facendolo diventare, lentamente, subalterno ad essa. Si è creato uno scisma tra potere intellettuale e società reale, e la differenza dalla sinistra che non è stata più espressa.
Berlusconi rappresentò la parte più popolare del Paese, quella che non si riconosceva nel linguaggio dominante nella cultura politica. Alla mancanza di un linguaggio organizzato egli rispose riuscendo a creare attorno alla sua persona un carattere simbolico: la differenza tra la cultura dominante nel Paese e la realtà tradizionale. In questo modo egli diede forma al sentimento del popolo cattolico di non essere più rappresentato dal linguaggio di sinistra che attraversava la stessa comunità cattolica.
E parlò il linguaggio di quella realtà, l'impresa privata, che era il modo di vita della società civile, e che si sentiva alienata da una politica che si poneva contro la realtà della sua vita concreta e appariva soltanto come potere burocratico e fiscale.
Con Veltroni, Berlusconi si è trovato di fronte ad una operazione di mimesi politica: quella di creare un uomo che parlasse il linguaggio della società civile mentre veniva interamente dalla cultura di sinistra e dalla sua storia. L’apparire di Veltroni nasce dal fatto che l’esperienza della sinistra in Italia è fallita perché vista come espropriazione della cittadinanza mediante l’espansione di frammenti di partito che giustificano se stessi con la loro cultura di sinistra e creano quindi il massimo di separazione tra la realtà del Paese ed il linguaggio della politica.
Poteva la sinistra, dopo questa sconfitta come esperienza di governo, esprimere da se stessa un linguaggio mutuato da quello di Berlusconi e fondato sulla sua mimesi? Poteva lo sforzo mimetico della sinistra arrivare a tanto?
Berlusconi ha pensato di poter raggiungere un accordo con chi parlava un linguaggio che pareva nascere dalla imitazione del suo; ma il tentativo di un accordo sul sistema elettorale lo ha convinto di poter giocare sulla sconfitta del governo della sinistra, ma solo forte del consenso del suo popolo. Di qui la decisione di riprendere la formula originale del riferimento alla libertà come valore meta-politico, come fede, per creare un partito nuovo che a quella parola si ispiri. Con questo cambiamento di prospettiva Berlusconi fonda l’alternativa alla sinistra come espressa dal suo carisma, convinto che il sistema di potere e il carattere rivoluzionario del linguaggio siano inscindibili nella sinistra italiana e che quindi occorra una prova di forza elettorale per mostrare il valore della differenza. Di fronte alla crisi della società italiana occorre reagire alla sconfitta della sinistra mediante un’affermazione netta di un altro schieramento. Solo su queste basi (una vittoria elettorale e politica) è possibile discutere in piena legittimità con chi, nella sinistra, ha preso coscienza del suo fallimento.

Di qui la scelta di una lista unica, che pur comprende forze diverse, nella certezza che il popolo riconosca che solo con l'affermazione di una cultura di libertà possono ritornare, in Italia, l'autorità delle istituzioni e l'ordine civile.
Gianni Baget Bozzo
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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