Gian Micalessin
La voce corre, anche se nessuno la conferma. Non certo i sauditi, assai poco entusiasti dammettere unapertura allo stato ebraico. Non il primo ministro israeliano Ehud Olmert che, pur di smentire lincontro con il sovrano saudita re Abdullah, si fa persino reintervistare da Yedioth Ahronot, il quotidiano protagonista del discusso scoop.
Ma qualcosa di vero dietro la notizia bomba devesserci. Yedioth Ahronot sostiene di averla strappata a persone molto vicine al primo ministro. Secondo le sue «gole profonde» il colloquio si è svolto il 13 settembre scorso. Quel giorno in Giordania, il terreno neutrale su cui si svolgono molti appuntamenti segreti, si muove non il re Abdullah, ma il principe Bandar, ex ambasciatore negli Stati Uniti alla testa del Consiglio Supremo di Difesa saudita. Ad incontrarlo può anche esserci andato un uomo di fiducia del premier. La stessa smentita di Olmert non è assoluta. «Non mi sono incontrato con il re saudita e non ho visto nessuno che possa causare sensazione». Nonostante i dinieghi molti fanno capire che lapertura di un rapporto diretto tra Israele e Arabia Saudita cadrebbe a puntino nellattuale contesto politico e strategico. Il ministro israeliano Ofir Pines-Paz si guarda bene dallo smentire e ipotizza addirittura la creazione di un asse moderato comprendente anche i sauditi da contrapporre «allasse delle forze del male».
Ehud Olmert è, del resto, alla disperata ricerca di uniniziativa politica per rilanciare la propria immagine. Il rapimento del caporale Gilad Shalit per mano di Hamas e il mancato successo nella guerra ad Hezbollah hanno fatto piazza pulita del suo programma di governo e della sua credibilità. Il progettato ritiro da buona parte delle colonie della Cisgiordania è già finito in soffitta. Senza quel piano il premier e il suo partito sono senza un programma di governo. Svanite le possibilità di un negoziato con i palestinesi - immobilizzati dalle divisioni tra la presidenza di Mahmoud Abbas e il governo di Hamas il premier potrebbe essere andato a ripescare liniziativa di pace saudita ispirata dallo stesso re Abdullah. Il piano approvato dai paesi arabi nel febbraio 2002 ipotizza un riconoscimento di Israele in cambio del riconoscimento di uno stato palestinese sui confini del 67. Il piano, se rinegoziato in termini più favorevoli, può servire a Olmert per riacquistare respiro sul piano internazionale e credibilità su quello interno.
Lapertura di Israele ai sauditi, e viceversa, risponde anche ad un altro ottimo motivo. «I sauditi hanno adottato una politica molto appropriata durante la guerra in Libano: io ho espresso lapprezzamento del mio governo», ha detto ieri Olmert spiegando i toni di stima usati in una precedente intervista. La questione di Hezbollah e - in un contesto più ampio - quella iraniana costituiscono - sul versante opposto - la forza propulsiva capace di spingere i sauditi ad un avvicinamento ad Israele. Il Partito di Dio rappresenta per i sauditi la minaccia di unegemonia sciita sui sunniti libanesi. Nei 34 giorni di conflitto Riad ha espresso chiari segnali di disapprovazione per le mosse di Hezbollah e del suo segretario generale Hassan Nasrallah.
Sul più vasto scenario mediorientale Teheran è per Riad una minaccia analoga a quella rappresentata da Hezbollah per i sunniti libanesi. Perdere anche il Libano mentre lIrak precipita sotto il controllo dei partiti e delle milizie sciite vicini alla Repubblica Islamica significa aprire la strada ad un egemonia iraniana in Medio Oriente. Se ai timori di Riad si aggiungono le preoccupazioni israeliane per la marcia verso il nucleare di Teheran, lequazione politico-strategica è completa. Quellequazione rende non solo plausibile, ma addirittura urgente un contatto tra sauditi e israeliani per arginare la minaccia strategica di Hezbollah e di Teheran.
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