Roma - È sul dossier giustizia che Berlusconi attende con ansia di sapere se la sorte del suo governo è segnata oppure no. Chiuso ad Arcore prima di far rientro a Roma soltanto lunedì mattina, dove lo aspetta l’incontro con il leader libico Muammar Gheddafi, il Cavaliere ragiona sulle sue prossime mosse. Il ministro leghista Maroni già pronto: «Se dovesse saltare tutto organizziamo le elezioni in due giorni».
I tempi sono stretti e il premier è stufo dei giochetti dei finiani, insondabili sulle loro reali intenzioni. La partita, inutile negarlo, si gioca sul processo breve: per il premier provvedimento sacrosanto e che interessa tutti perché impone che i procedimenti giudiziari non siano più lumaca ma che, naturalmente, riguarda pure la sua posizione nel caso Mills. Ed ecco che i finiani più ultras, i Briguglio e i Granata per intendersi, potrebbero mettersi di traverso proprio su questo. C’è il rischio, infatti, che se anche Fini decidesse di votare tutti e cinque i punti su cui il premier chiederà la fiducia per poter andare avanti, proprio su quel provvedimento partiranno i distinguo. D’altronde, lasciando perdere Granata che s’è smascherato mettendosi su posizioni più vicine al popolo viola e a Di Pietro, lo stesso Bocchino ha già fatto capire che, per lui, il processo breve non è certo una priorità. Risultato: il pericolo che il provvedimento venga tirato apposta alle calende greche è dietro l’angolo.
A trattare con Fini su questo tema, ma anche su quello che sta più a cuore alla Lega, ossia il federalismo, ci andrà il governatore del Piemonte Roberto Cota. È stato il leader del Carroccio Bossi a rivelarlo: «L’ho mandato da lui a sentire come e se si può aiutare ad unire più che a rompere». Prove tecniche di disgelo affidate all’alleato Umberto che, al vertice di villa Campari, deve aver detto a Berlusconi: «Silvio, a Fini ghe pensi mi». Un incontro, quello con Cota, a cui però il presidente della Camera chiude la porta in faccia. Almeno per adesso: nessun summit con i leghisti prima della chiusura della festa di Mirabello, prevista per domenica 5 settembre, fanno sapere i finiani. Nonostante ciò il Senatur resta fiducioso: «Secondo me Fini manterrà la parola, adesso tutti hanno visto che si può andare anche alle elezioni. E se avvenisse che non ci sono i voti stavolta si va al voto davvero». E ancora: «Fuori l’ex leader di An? Non posso fare miracoli, i numeri bisogna averli». E all’Udc sibila «ho schivato il rischio Casini nel governo. Quando entrano loro si mettono subito a mangiare alla sua tavola e non si fa più il cambiamento». Poi, la stoccata al leader del Pd: «Se Bersani pensa che il governo non arriverà a fine legislatura, allora perché è andato da Berlusconi a piagnucolare e a chiedergli di non andare a elezioni? Aveva paura del voto».
Ma il tema resta: ci sarà da fidarsi di Fini? Berlusconi è scettico anche perché, altro inghippo, il presidente della Camera farà di tutto per trovare una sponda col Quirinale, come fatto in passato con il lodo Alfano. Non è un mistero, infatti, che Fini possa usare l’arma Napolitano per insabbiare proprio il processo breve, denunciandone la possibile incostituzionalità. A quel punto il Cavaliere dovrà arrivare al vero redde rationem aprendo la crisi, forte dell’appoggio leghista anche sul tema giustizia. Un appoggio senza se e senza ma, ribadito dallo stesso Bossi: «È evidente che Berlusconi è un perseguitato, a chiunque lo si chieda per strada la risposta è “troppi processi”». Il premier ha fretta di far scoprire le carte all’avversario e lascia in mano alla Lega la patata bollente della trattativa.
Convinto che saranno bravissimi loro a far la voce grossa e a spaventare Fini con un discorso che sarà più o meno questo: «A villa Campari abbiamo ceduto sulle urne subito ma questa è l’ultima chiamata: o ci stai o si va dritti alle elezioni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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