Prove di Grande Albania sui campi di pallacanestro

Il via al campionato unico con il Kosovo è il primo tentativo per coronare un vecchio sogno

Prove di Grande Albania sui campi di pallacanestro

In molti la definiscono l'Atlantide della geopolitica, il triangolo delle Bermuda europeo. I richiami a terre mitiche e non-luoghi leggendari si sprecano, ma la verità è che la Grande Albania resta un progetto politico altrettanto grande che ancora arde nel rovente braciere dei Balcani. Dopo oltre un secolo, sulla pelle di Tirana ancora bruciano gli effetti dell'indipendenza che nel 1912 ridisegnò i confini su base etnica, con il Kosovo, la zona di Monastir e la valle di Presevo assegnati alla Serbia, Ulcinj e le aree circostanti al Montenegro e la Ciamuria alla Grecia. Territori ancora oggi abitati in maggioranza proprio da albanesi e che tutti ancora guardano come la culla della propria nazione.

Anche Mussolini aveva provato a ricostruire quella Grande Albania, quando tra il 1941 e il 1942 l'occupazione italiana dei distretti albanesi in Kosovo e in Macedonia era dichiaratamente rivolta al tentativo di esaltare la tradizione culturale schipetara. Un tentativo, appunto, perché i generali si ritrovarono ad affrontare una difficile convivenza con i conflitti etnici e le rivalità fra gruppi e fazioni avverse. Nel frattempo si sono susseguite tensioni, guerre e guerriglie in un Novecento che definire controverso è un eufemismo, ma Tirana non ha dimenticato le proprie origini e ora, al tramonto del primo ventennio degli anni Duemila, prova finalmente a mettere un primo tassello al complesso puzzle della Grande Albania. Così, per coronare l'atavico sogno di strappare il Kosovo alla Serbia, il governo ha deciso di scendere sui legni di un parquet e di tessere la sua tela facendo rimbalzare una palla arancione. Con un accordo storico firmato a Tirana, la Federazione di basket albanese e quella del Kosovo hanno infatti dato vita a un campionato unico, che inizierà il prossimo ottobre e che prevederà la partecipazione di otto club di pallacanestro: le migliori quattro squadre albanesi e le migliori quattro kosovare. Nasce così la «Grande Albania del basket». La strategia è chiara e il progetto non è cosa da poco. «Spero e credo che questo accordo stimolerà anche gli altri sport. La lega di pallacanestro è solo il primo passo di molte altre collaborazioni che avverranno in futuro», spiega con entusiasmo il primo ministro albanese Edi Rama offrendo anche lo spunto per guardare alle prospettive auspicate dal governo. Un processo politico e culturale che resta poderoso e complesso, come dimostrano le parole del Presidente della Federazione di pallacanestro del Kosovo, Arben Fetahu: «Fin dal primo momento abbiamo avuto ostacoli, ma non ci siamo fermati e li abbiamo superati tutti». La verità è che l'accordo della palla a spicchi interessa (solo) a due dei tre attori in scena sul palco geopolitico balcanico: se l'ex colonia italiana torna a sognare la sua Albania etnica, d'altro canto il Kosovo prova una volta per tutte a rimarginare le stigmate del sanguinoso conflitto che ha chiuso il XX secolo e che non si è mai sopito. D'altronde è da qualche anno che lo sport rievoca il fantasma della Grande Albania, incrocia il piccolo grande caso del Kosovo e riacutizza le ostilità con Belgrado: l'ultimo episodio eclatante risale al 22 giugno di due anni fa, quando i giocatori svizzeri di origine kosovare Xherdan Shaqiri e Granit Xhaka, dopo aver regalato alla propria nazionale la vittoria in rimonta contro la Serbia, esultarono mimando l'aquila bicefala della bandiera albanese. Quattro anni prima invece, nell'ottobre del 2014, nella partita di calcio ad alto rischio tra Serbia e Albania, un drone fece piovere in campo una bandiera del Kosovo, scatenando incidenti e scontri sia sugli spalti sia sul terreno di gioco. Ora invece la rivendicazione etnico-territoriale si sposta su binari più «istituzionali» e Tirana sceglie di compiere l'alleanza cestista con Pristina: quello che può essere considerato il primo passo del terzo tempo nel basket. D'altronde, fra un tiro da 3 punti e un time-out, le relazioni geopolitiche guardate attraverso la palla a spicchi non potevano che essere ridiscusse proprio nell'Europa orientale, dove in ogni angolo si respira pallacanestro, dove l'eco dei campioni della Jugoslavia ha scavato un profondo solco nella cultura sociale dei Paesi post-dissoluzione. Alla frontiera (non solo metaforica) resta la Serbia. Belgrado - che mai ha digerito la dichiarazione d'indipendenza del parlamento del Kosovo nel 2008 e che rivendica con forza il piccolo Paese sotto il protettorato delle Nazioni Unite - sembra finora aver incassato il colpo ma fonti interne al governo e al mondo della pallacanestro serbi parlano di «ira funesta» nelle stanze dei bottoni. Forse neanche loro - fortissimi nel basket - si aspettavano che uno dei più accesi motivi di tensione geopolitica in casa finisse per andare a toccare proprio quel gioco tanto amato di cui sono indiscussi e quasi incontrastati maestri.

Sarà un affronto che alimenterà il braciere delle tensioni o l'abbozzo definitivo del pluridecennale disegno di Tirana? A oggi la bilancia delle ipotesi è perfettamente equilibrata e resta impossibile immaginare le conseguenze.

Quel che è certo è che da ottobre ogni domenica, scendendo in campo per 40 minuti, dieci atleti riscriveranno un pezzo di storia europea in un pezzo di terra ancora spaccato da etnie, religioni e giochi di forza politica.

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