Notevole pubblico, nonostante il mal tempo, per la terza lezione di storia di «Genova italiana», laltra sera al Ducale. In cattedra la professoressa Elisabetta Tonizzi che insegna Storia del mondo contemporaneo e Storia contemporanea del Mediterraneo all'Università di Genova. Ha illustrato uno dei periodi più «caldi» della Storia di Genova. Il 5 agosto 1922 le squadre fasciste marciano su palazzo San Giorgio che viene invaso e occupato con lo scopo di eliminare le «cooperative dei portuali» («camalli», dal turco hamal, portatore, eredi dei «caravana», dal persiano kairewan, compagnia di mercanti). Contemporaneamente viene devastata la sede de «Il Lavoro», giornale portavoce dei portuali. Nei giorni precedenti, i fascisti avevano sferrato un durissimo attacco (manifesti, volantini, articoli sui giornali, ecc..) nei confronti di Nino Ronco (1863-1949), presidente del Consorzio Autonomo del Porto, dal 1909, già Sindaco radical-democratico del Comune, allora di Sampierdarena, dal 1901. Egli aveva favorito il radicamento delle cooperative dei portuali che avevano ottenuto, in cambio della pace sociale, l'esclusività del lavoro sulle banchine con ottimi salari.
Ai primi di agosto del 1922 viene proclamato, dai partiti e sindacati di sinistra, lo «sciopero legalitario» per protestare contro il diffondersi dell'eversione fascista, che risponde con l'assalto al palazzo San Giorgio, con sparatorie, feriti e tre morti. Nino Ronco è costretto a sciogliere le cooperative e, insieme alla direzione del Consorzio Autonomo, a dimettersi. La marcia su palazzo San Giorgio, oltre ad avere una chiara impronta anti-operaia doveva essere anche una specie di «prova generale» per la «marcia su Roma». Il porto di Genova era, già allora, il più importante d'Italia (merci sbarcate, 4.967.991 tonnellate, imbarcate 821.784 e 91.013 passeggeri). Come diverse volte è accaduto, Genova è stata «usata e strumentalizzata» perché «serviva» ai fini e scopi della «politica italiana».
Un docente universitario svizzero, anni fa, a Finalborgo, faceva presente, in una interessante chiacchierata, che una Liguria, restata indipendente (invece di restare «imbrigliata» nella politica italiana), avrebbe sicuramente seguito e superato l'esempio della Svizzera, trasformando il suo regime repubblicano oligarchico in un moderno regime democratico repubblicano federale che, invece dei «Cantoni» svizzeri, avrebbe avuto le sue antiche «Podesterie» autonome.
*Presidente M.I.L.
Movimento Indipendentista Ligure
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