La nostra patria comune. Bellissimo, a chi piace il genere, sentirselo ripetere. Patria comune, l’Europa, e dunque senza frontiere: ciascuno va dove vuole e addio a quella vestigia cartacea dell’imperialismo che è il passaporto. Lo sanno ancor meglio di noi le migliaia di tunisini che stanno sbarcando a Lampedusa.
Non un’isola, non il primo lembo all’orizzonte di terra italiana. Ma portone d’ingresso dell’Europa. Sbarcati a Lampedusa, sbarcati nella patria comune. Ciò che oggi,con l’emigrazione di massa e il serio rischio che s’ingrossi sempre più a seguito delle vittorie delle piazze nordafricane, crea qualche problema, e non solo logistico. Per le anime candide, o semplicemente ipocrite, che si battono per una più generosa politica dell’accoglienza - nessun respingimento, nessun rimpatrio forzoso, ma braccia aperte a chiunque raggiunge il paese di Bengodi - il problema è di coscienza. Questo perché l’arrembaggio tunisino sia portato non da povera, poverissima e disgraziata gente, secondo il cliché del dolente migrante.
Ma da uomini (donne, pochissime) bene in salute e non certo cenciosi, i quali non vengono da noi in cerca di carità, ma più che altro desiderosi di cambiar aria. Avendo scoperto che se sotto la tirannide s i stava male i n democrazia si può stare anche peggio, càpita, rimediano trasferendosi oltremare. Scegliendo le vie spicce dell’«emergenza umanitaria».
Risulta poi che la maggioranza di loro, già di lingua francese e con almeno mezz a tribù di parenti residenti in Francia, non intenda sostare in un centro d’accoglienza, m a proseguire per Modane o Ventimiglia, varcare impunemente l’ex frontiera abolita con gli accordi di Schengen e sciamare nell’Exagone. Tagliati dunque fuori dai giochi i nostri solidaristi e multiculturalisti in servizio permanente effettivo, cui viene meno la leva della pietas, la patata bollente passa dunque nelle mani dei ben più pragmatici francesi.
I quali fanno sapere, per bocca del ministro degli Affari europei, monsieur Laurent Wauquiez, che la Francia non intende accogliere i tunisini - salvo che in casi «molto marginali», una mezza dozzina, forse - perché «non occorrono premi all’immigrazione illegale ». Giusto, anzi: giustissimo. Però non ci siamo.
Non ci siamo per via della patria comune, di Schengen, degli Ideali, dei Valori e dei Princìpi europei. Europeisticamente parlando la Francia non c’è più, la Francia comincia a Lampedusa e finisce a Riga. Non essendoci più non spetterebbe nemmeno a Parigi dare una lezione all’immigrazione clandestina, spetta all’Unione, fornita per altro di un capintesta, Herman van Rompuy, e di un ministro degli Esteri (e della Sicurezza!), la baronessina Catherine Ashton. Gli arrembanti di Lampedusa dimostrano, infatti, che il problema è dell’Europa che se si è voluta senza frontiere interne, non può far finta che non ne esistano di esterne, perimetrali, le quali vanno difese, sempre nell’interesse comunitario, dalla pressione dell’immigrazione clandestina.
Trattando con decisione con i governi delle nazioni che più alimentano il flusso per costringerli, con le buone o con le cattive, a ostacolare le partenze. E montando la guardia per impedire fisicamente gli arrivi. Non si chiede, nel nostro caso, l’invio di una task force (mandata però al largo della Somalia per proteggere il naviglio mercantile dai pirati), basta la nostra di marina, purché una direttiva comunitaria - e quindi santa - l’autorizz i a fare sul serio: agganciare barche, barconi e barchini per ricondurli all’istante al porto d’origine. Malauguratamente l’Europa seguita a fare lo gnorri menando a più non posso il can per l’aia.
Non ci resta quindi che sbrigarcela da soli. E il modo migliore, anzi, l’unico, è d i acconsentire, con un gesto umanitario ad alta valenza etica e civile, ai desideri, alle aspettative di quei poveri emigranti nostri fratelli. Predisponendo subito dei convogli per instradare i tunisini sulla via della Francia, cosa che è nel nostro pieno diritto, che non viola - e vorrei vedere - nessuna norma internazionale e comunitaria, nessun articolo della convenzione sui diritt i dell’uomo.
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