Passi per le banche. Quando si trattò di vendere una malridotta HypoVereinsbank agli italiani di Unicredit i tedeschi non la misero giù così dura. Un podi articoli sui manager pasticcioni che avevano mandato in crisi listituto di Monaco di Baviera. Qualche intervista ammirata ad Alessandro Magno (così lo chiamavano i giornali), alias Alessandro Profumo, il manager della Penisola che aveva sorpreso lEuropa con la sua marcia trionfale.
Tutto qui. Ma con HypoVereinsbank si parlava di sportelli, crediti, soldi. Con Opel la discussione si è spostata sul piano filosofico. «La Repubblica (intesa come Repubblica di Germania nda) ha bisogno di lei», ha titolato allinizio della vicenda la Süddeutsche Zeitung, il prestigioso quotidiano di Monaco di Baviera, spiegando che «la società è parte dellidentità tedesca». Non ha dubbi anche il più pensoso tra i settimanali di Germania, Die Zeit: Opel ha rappresentato e rappresenta «un ideale tedesco», anzi, «tedeschissimo». Così, a tutti i problemi finanziari, industriali, occupazionali se ne è aggiunto anche uno psicologico. Per sintetizzarlo bisogna ricorrere a una delle solite parole tedesche, complicate e difficili da pronunciare: Ingenieurskunst. La traduzione letterale in italiano suona perfino un po strana: arte ingegneristica. Eppure se cè un termine pronunciato con gravità e rispetto in Germania è proprio Ingenieurskunst. Anzi, nellinterpretazione prevalente, lintera storia economica tedesca, dai tempi della seconda rivoluzione industriale, è fondata sullabilità tecnica di fondatori e grandi gruppi industriali. E non cè stata analisi sul caso Opel in cui il termine non sia caduto sordo e pesante come un colpo di maglio. Con un sottointeso solo: lidea che Opel, da 140 anni nellempireo della tecnologia di Germania, finisca nella mani degli italiani (amati, amatissimi, ma insomma...) è qualche cosa di sorprendente e di lievemente destabilizzante. Intendiamoci: nessun atteggiamento razzistico. In tutti gli articoli o gli interventi sulla vicenda i riconoscimenti alla creatività e alla preparazione dei tecnici della Penisola sono stati ampi e generosi. Anche e perfino in campo automobilistico («E poi, il miracolo tipicamente italiano di saper utilizzare gli spazi interni di una piccola vettura...» ha scritto ammirato un analista di Die Zeit). Ma insomma: gli italiani fanno bene alcune cose, i tedeschi altre.
E del resto non cè nulla di cui meravigliarsi: basta pensare a quali sarebbero le reazioni italiane se Armani o Prada fossero nel mirino di uno stilista bulgaro o di un gruppo economico turco. Con tutto il rispetto del caso la risposta sarebbe unanime: fatevi da parte, non è roba per voi.
Appena un dettaglio, anche se a prima vista paradossale, è poi che, Opel, come è noto, non è affatto tedesca. Perché se non ci fosse stata General Motors il gruppo con sede a Rüsselsheim non sarebbe sopravvissuto nemmeno alla crisi del 1929. Alla fine degli anni Venti gli americani intervennero con denaro sonante comprando e risanando unazienda che stava andando finanziariamente a rotoli. Ma anche questo dato è stato elaborato e razionalizzato dallopinione collettiva a nord delle Alpi. E anzi è diventata una delle caratteristiche positive della società: «Un accoppiamento ideale», ha scritto Stern, «tra Ingenieurskunst di Germania (appunto) e senso degli affari americano».
La verità è che lunico problema della tedesca Opel è la tedesca Volkswagen, ha scritto lo stesso settimanale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.