Psicodramma nel Pd Un reality dove tutti temono solo di sparire

Tra i democratici nessuno si sopporta più. Ma la paura di finire nel dimenticatoio è troppa per lasciare il partito

Psicodramma nel Pd Un reality dove tutti temono solo di sparire

Più che ad una bocciofila, come ama (va) dire bonariamente Pier Luigi Bersani, il Pd somiglia ad uno di quei reality dove i concorrenti, rin­chiusi per troppo tempo in uno spazio troppo angusto, e costretti a frequentarsi ventiquat­tr’ore al giorno, semplicemente non si soppor­tano più. E se restano nella casa, o sull’isola, o nel Pd, è perché sperano alla fine di vincere un premio: restare in televisione. Lo scandalo Lusi non è soltanto un proble­ma politico di primaria grandezza (come può un grande partito di governo come ambiva ad essere la Margherita non accorgersi che il suo tesoriere ha imboscato la bellezza di 13 milioni di euro?), ma sta diventando l’ennesimo palcoscenico per lo psicodramma collettivo che va regolarmene in scena a Largo del Nazareno.

Intervistato ieri da Repubbli­ca, Arturo Parisi spara a zero su Francesco Rutelli, che della Mar­gherita fu fondatore e leader indi­scusso. L’ex braccio destro di Prodi am­mette di non aver mai immaginato che i soldi del partito finissero «in attici e ville private», ma rivela l’esistenza di un lungo braccio di fer­ro con Lusi, accusato di gestire i finanziamenti in modo poco trasparente ed esclusivamente «a sostegno della presidenza Rutelli e della sua linea politica»: «Da una parte - ricorda Parisi ­domande sull’uso politico delle risorse desti­nate all’azione comune, dall’altra la sistemati­ca resistenza a darne conto». In realtà Parisi e Rutelli erano avversari, e tanto nello scontro di allora quanto nelle rievo­cazioni di oggi è facile leggere in trasparenza la trama di una lunga battaglia politica che li ha opposti e continua ad opporli (sebbene la pen­sino più o meno allo stesso modo).

Ma questa considerazione non rende infondati o meno gravi i ricordi di Parisi; semmai, rende più sci­volosa la vita interna al Pd, dove i veleni perso­nali s’intrecciano alle contese politiche in un groviglio sempre più inestricabile e sempre più pericoloso. Proprio come in un reality, ap­punto. Un tempo c’erano soltanto i due eterni duellanti, D’Alema e Veltroni: se le davano di santa ragione, ogni tan­to facevano un accordo «in nome dell’unità del partito» (e di solito per cavarne legittimamente una quota più o meno ampia di pote­re), dopodiché ricominciavano a darsele di santa ragione. Tutti lo sa­pevano, e si regolavano di conseguen­za. È vero che in questo modo prima è ca­duto il governo Prodi e poi è caduto quello D’Alema (eallafine ha vinto Berlusconi): ma è anche vero che, nelle brevi stagioni in cui Vel­troni e D’Alema hanno contato qualcosa, an­che la sinistra ha contato nel Paese.

Oggi, francamente, non si riesce a capire che cosa stia succedendo e chi sia al comando. La nascita del Partito democratico, con la fusione fredda fra i Ds e la Margherita, che a sua volta era un assemblaggio di ex democristiani di sini­­stra, prodiani e (addirittura!) diniani, ha molti­plicato non soltanto le correnti, ma anche e for­se soprattutto le antipatie e i rancori personali. D’Alema e Veltroni continuano a duellare,ma il campo oggi è ingombro di cavalieri rissosi che menano lo spadone in cerca di notorietà e rivalsa. All’ombra della grande bipartizionegeneti­ca del Pd (per ogni settore di lavoro ci sono ad occuparsene un ex comunista e un ex democri­stiano) sono proliferate le correnti e soprattut­to i cacicchi e i grandi feudatari, ciascuno dei quali dispone di una propria struttura, spesso camuffata da fondazione o centro studi, di un proprio sistema di finanziamento e di uno spe­cifico mercato politico. E siccome il mercato è ristretto, la concorrenza è spietata.

Le cronache di questi anni ci hanno progres­sivamente mostrato Franceschini prima con Veltroni, quando ne era il vicesegretario, e poi contro di lui; Fassino prima con Veltroni e poi con Bersani; Prodi (le rare volte che si fa senti­re) contro tutti;Parisi contro D’Alema e Rutelli (che nel frattempo si è fatto un altro partito); la Bindi contro Renzi e, soprattutto, per se stessa; Letta a fasi alterne con, senza e contro Bersani; Fioroni contro la Bindi e contro Bersani, e così via in un girotondo mozzafiato che lascia poco sperare per il futuro.

Quando poi entra in sce­na anche il malaffare- con il rutelliano Lusi og­gi, con il bersaniano Penati ieri,con il dalemia­no Tedesco l’altro ieri - le cose si complicano e l’aria si avvelena ancor di più: i ricordi affiora­no improvvisi, sfuggono le battute meno op­portune, qualcuno si toglie qualche sassolino. Come si dice in questi casi, ne vedremo delle belle.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica