Cristiano Gatti
Sarà una sciccheria. Il gradito ospite non avrà modo di apprezzare, ma la famiglia e gli amici piangeranno lacrime più lievi. Il cantiere è già avviato, l'inaugurazione è prevista nella primavera 2006: quel giorno, la storia del lutto volterà pagina. Apre a Milano, di fronte al cimitero di Baggio, la prima casa funeraria d'Italia. Il prossimo 2 novembre, massima ricorrenza del settore, i grandi quotidiani ospiteranno una pagina pubblicitaria per annunciare la struggente novità. Una mezza rivoluzione. Praticamente, la beauty-farm del caro estinto.
Alcide Cerato, 66 anni, titolare della più grande impresa di pompe funebri italiana - San Siro, un centinaio di dipendenti e quarant'anni di innovazioni scenografiche - guarda il suo progetto e placidamente sorride: «Mi costerà cinque milioni di euro. Ma finalmente realizzo il sogno di una vita». Quale sia il sogno della sua vita non è un mistero: aiutare chi resta a salutare meglio chi parte. Sembra la missione di un capostazione. Ma in definitiva anche Cerato è da quasi mezzo secolo un particolare capostazione. L'ultimo.
«Vede? Al piano terra c'è la hall, con un bar, per ricevere i dolenti, che sono poi i visitatori. E qui, vede qui a fianco? Sarà il punto di forza: la sala anatomica. Questa è la grande novità. Praticheremo la tanatoprassi, un'arte già radicata in tanti Paesi civili. Ne faremo anche un'Accademia, per insegnarla agli allievi...». La tanatoche? Cerato fa un lungo sospiro: «Per capirci: è la sala trucco. Purtroppo, i nostri morti spesso ci lasciano un ricordo legato all'ultima malattia, o all'incidente che ce li ha rapiti. E non è una bella immagine. Qui, con la tanatoprassi, gli specialisti interverranno su questi aspetti: alla fine del procedimento, il nostro caro sarà presentato a parenti e amici nel modo più bello. Truccato, certo».
Se l'ironia non suona macabra, in termini teatrali è praticamente un camerino. Camerino ardente. Cerato spiega che in Italia ci arriviamo solo adesso perché soltanto adesso le Regioni stanno adeguando le proprie leggi funerarie. In Lombardia, dice, è finalmente possibile sottrarre i nostri morti allo squallore degli obitori, o agli imbarazzi di tante famiglie, che magari si vergognano pure di non avere una casa adeguata per le visite. Si tratta di garantire al caro estinto un ultimo viaggio decoroso. Di prima classe. «Guardi le otto suite. Locali dove la famiglia potrà esporre la salma e ricevere la gente. Ci saranno divanetti e poltrone, si potrà offrire anche un caffè...».
Osservo, con qualche brivido: non è tutto un po mondano? Cerato quasi s'indigna: «Lo sa che in Italia l'ottanta per cento dei decessi avviene in ospedale? E lo sa, vero, come vengono poi esposte le salme nelle camere ardenti? In tanti altri Paesi il momento del lutto non conosce squallore e freddezza. Lo so, questi concetti possono suonare traumatici, in Italia. Ma in quarant'anni, da quando ho rilevato l'aziendina di mio suocero, io non ho fatto altro che imporre anche qui qualche idea nuova. Così i colori grigio e blu, per togliere tutto quel nero. Così il legno chiaro delle bare. E i fiori di campo. Vogliamo cambiare il modo di pensare alla morte». Sarà un modo costoso, solo per i ricchi, faccio presente. «Questa casa funeraria sarà alla portata di tutti. Operai e manager. Posso garantirlo. Ci sono suite grandi e suite più piccole. Si potrà fare qualunque cosa: esporre al pubblico la salma e poi celebrare il rito nella propria parrocchia. In ogni caso, abbiamo un locale che può diventare cappella: tutti - cattolici, ebrei, musulmani - avranno modo di praticare nel massimo decoro il saluto religioso».
Previsto pure lo psicologo. Per dire quanto la beauty-farm sarà attenta alle necessità dei morti e anche dei vivi. «Gli italiani dovranno abituarsi. Nel giro di qualche anno, sarà vietato tenere le salme in casa. È questione di civiltà e di igiene. E pure di rispetto».
Insisto: però uno, diciamo lei, potrebbe pure sentirsi un po' in imbarazzo lucrando soldi sul dolore. «Io mi sentirei molto in imbarazzo soltanto se imbrogliassi la gente. Lo so, ho costruito una grande azienda sulla morte. Ma qualcuno deve pur farlo, questo lavoro. La cosa fondamentale è farlo con garbo».
Va bene, allora dica la verità: lo farebbe mai un funerale gratuito? «Tutti i giorni, ne facciamo. Se una famiglia non ce la fa, noi comunque provvediamo. Certo, si usa la bara più economica: trecento euro. Niente a che vedere con le bare scolpite dagli artisti, che possono arrivare a trentamila. La scuola italiana d'arte funeraria è la più apprezzata del mondo, lo sapeva? Peccato sia una tradizione che va scomparendo...».
Parliamo ancora di questi quarant'anni trascorsi a seppellire umanità. Per rispetto, non vuole citare le tumulazioni più illustri. «Mi limito ai più recenti: don Giussani e Gaetano Afeltra». Quanto al funerale più triste, nel senso deteriore del termine, non esita: «Premesso, non l'ho organizzato io. Però ho assistito. In Tunisia. Hanno portato Craxi su un camioncino della frutta. Lo trovo molto ingiusto».
Testimone privilegiato - si fa per dire - ai confini dell'Aldilà: Cerato, quarant'anni così l'hanno almeno aiutata ad esorcizzare la paura? «C'è gente che gioca, con la morte. Ho appena ricevuto la telefonata di una discoteca: vogliono bare per la festa di Halloween. Contenti loro... A me l'idea della morte dà sempre molto fastidio. Più che altro, questo lavoro mi aiuta tutte le mattine a ricominciare con entusiasmo la vita. Poi, siamo nelle mani del Signore: dopo l'ultimo viaggio organizzato da noi, comincia davvero tutto un altro viaggio».
Scusi, forse non è carino concludere così, ma molti se lo chiederanno: il suo, di funerale, l'ha mai immaginato? «Sono troppo impegnato ad organizzare quello degli altri. Una cosa soltanto, so: almeno il mio, me lo godrò in tutto riposo».
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