Uno Zar è per sempre. Due anche per di più. Chi silludeva che il tandem tra Dmitry e Vladimir Vladimirovic potesse cigolare, chi simmaginava il giovane Medvedev pronto a far le scarpe a papà Putin è servito. La staffetta è di nuovo in pista. Pronta a riconquistare i vertici della grande nazione russa. Pronta a non mollarli fino al 2024. O addirittura fino al 2036. E guai a chi cerchi di boicottarla. A farlo capire è Vladimir Putin ringhiando truce contro lunico delegato tanto audace - o tanto folle - da contestare con un singolo voto il suo ritorno alla presidenza e quello del compare Medvedev alla guida del governo. Quando il tabellone dello stadio Luzhniki di Mosca rende conto di quellunico segnale di disobbedienza - a fronte di 584 deferenti sì - Vladimir Vladimirovic corre sul palco, squadra con occhi di ghiaccio la platea ammutolita, lancia quel monito infuriato. «Chi ha votato contro si alzi in piedi». Nessuno alza un dito. Chi può cerca dabbassarsi per schivare locchiata inquisitrice del grande capo. Poco importa. Nella furia gelida del passato e futuro zar si nascondono il messaggio e la formula. Il messaggio ad un partito costruito intorno a se stesso e al proprio delfino. Intorno alla formula studiata per conservarli al potere. Una formula trasformata in mozione dordine quando il presidente Medvedev annuncia ai delegati di Russia Unita la doppia mossa. Prima invita il Congresso a votare lui come capolista e futuro premier in vista delle elezioni parlamentari del 4 dicembre. Subito dopo fa giubilare con un applauso lattuale premier Putin, trasformandolo in candidato alle presidenziali di marzo.
Il tandem in due mosse annunciato allo stadio Luzhniki nasce nel 2008 quando Putin deve - dopo due mandati abbandonare la carica di presidente. A sostituirlo arriva il fedele Dmitry Medvedev, già allora alla guida del governo dominato da Russia Unita. Ma lex agente del Kgb non si rassegna certo a una vita da premier. Vuole e pretende la carica più alta. Non a caso nel novembre 2008 il delfino Medvedev lancia, appena eletto presidente, lemendamento costituzionale che prolunga da 4 a 6 anni la durata della presidenza e del Parlamento. Lemendamento contiene la formula per un potere ventennale. Grazie ad esso Putin, considerato già oggi sicuro vincitore delle elezioni di marzo, potrà conservare il titolo di presidente per sei anni. E farsi rieleggere per altri sei. In questo modo lex agente del Kgb, diventato premier nel 1999 e trasformatosi in presidente lo stesso anno grazie alle dimissioni di Boris Eltsin, resterebbe al potere fino al 2024. E quel punto lormai 72enne Putin potrebbe anche ceder lo scettro a un Dmitry in grado, grazie ai 13 anni detà in meno, di tener duro fino al 2036.
Certo di questi tempi far i conti con i decenni non è facile neanche per un Putin abituato a governare con pugno di ferro quella che lui stesso definisce «democrazia guidata». Una democrazia garantita non solo da un vasto e incontestabile consenso, ma anche da un utilizzo spregiudicato del potere e da una quasi totale mancanza di oppositori. Nonostante questo, Putin potrebbe ritrovarsi davanti una missione non semplice. Fino ad oggi il suo consenso si è basato sulla parziale redistribuzione degli utili generati dalle risorse energetiche. Sottraendo lenergia dalle mani rapaci degli oligarchi e restituendola al controllo dello Stato, Putin ha accontentato quella larga parte della popolazione ridotta in miseria dalla caduta dellUrss.
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