Controstorie

Putin si proietta in Africa per rubare spazi alla Cina

Il Cremlino stringe accordi economici a tutto spiano. L'obiettivo? Ritornare grande potenza

Putin si proietta in Africa per rubare spazi alla Cina

Nel contesto della Guerra Fredda, l'Unione Sovietica ha rappresentato per i Paesi africani, impegnati nella costruzione di Stati di fresca indipendenza, una significativa alternativa ideologica ed economica al modello occidentale. Il Cremlino è stato attivo nel supportare la causa dei movimenti di liberazione nazionale in Mozambico, Angola e Namibia, e il Partito Comunista Sudafricano, legato all'African National Congress, in Sudafrica, e ha sostenuto il Fronte patriottico antigovernativo in Rhodesia (odierno Zimbabwe). I tentativi sovietici di condizionare la politica degli Stati africani subirono due sconfitte negli anni Sessanta: nel Congo, il primo ministro Patrice Lumumba, sostenuto dai sovietici, venne ucciso nel 1961 durante una rivolta; in Ghana, Kwame Nkrumah e il suo governo comunista furono spodestati nel 1966. A seguito della caduta dell'Urss, Mosca ha dovuto abbandonare la propria proiezione globale per concentrarsi nella delicata transizione politica interna. Il rinnovato attivismo russo in Africa è un fenomeno abbastanza recente. Mosca però si sta muovendo a velocità supersonica per recuperare il tempo perduto, tentando di farlo con legami economici più forti e un'azione diplomatica espansiva. Lo potremmo definire a tutti gli effetti un amore a seconda vista. Non è casuale il blitz, poco pubblicizzato dai media russi, del ministro degli Esteri Sergej Lavrov in Etiopia lo scorso febbraio. Ad Addis Abeba Lavrov ha avuto la possibilità di confrontarsi sia con la presidente etiope Sahle Zeudé, ma anche con emissari di Angola, Namibia, Mozambico e Zimbabwe. Al termine del briefing il ministro degli Esteri ha dichiarato che «la nostra cooperazione economica non è così forte come i legami politici che siamo riusciti negli anni a instaurare. Servirà tempo, ma prevediamo di sviluppare la nostra presenza in Africa nei settori industriale, agricolo, delle comunicazioni e minerario». E per chiarire che le sue parole non rappresentano soltanto una dichiarazione di intenti, Lavrov ha reso noto il contenuto di una conversazione con il collega angolano Domingos Augusto sullo sfruttamento dei giacimenti di diamanti del sito di Catoca, che rappresenta il 6% della produzione mondiale.

Secondo i dati forniti dal ministero del commercio, la Russia ha sviluppato nel 2019 relazioni commerciali con l'Africa per una cifra molto vicina ai 7 miliardi di dollari. Siamo distanti dal fatturato cinese (220 miliardi), ma secondo gli analisti Mosca ha posto le basi per un'escalation senza precedenti. Oltre ai diamanti dell'Angola, Putin ha messo le mani sulla bauxite della Guinea, sull'alluminio nigeriano, e stretto accordi con lo Zimbabwe per l'estrazione di platino. La compagnia petrolifera Rosneft sta già sfruttando da circa sei mesi il gas delle piattaforme del Mozambico, mentre l'oro del Burkina Faso e della Guinea, l'uranio del Niger (conteso alla Francia), i fostati della Guinea Bissau e il manganese del Sudafrica sono qualcosa in più di una semplice lista dei desideri del Cremlino. Da una relazione della Brookings Institution, dal 2010 a oggi gli acquisti dal continente nero sono aumentati di un significativo 232%. Non è solo l'attività estrattiva a spingere la Russia a implementare gli investimenti. Nel dicembre del 2017, durante la sua visita al Cairo, Putin ha investito 23 miliardi di dollari per la costruzione di una centrale nucleare a El Alamein. Poco prima di Natale il leader del Cremlino ha stretto rapporti con il nuovo presidente sudanese Abdel Burhan per far nascere un polo nucleare per la produzione di energia elettrica. Nelle scorse settimane il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor è stato a Mosca per riprendere un antico progetto di realizzazione di una centrale nucleare a Città del Capo. Oggi la Russia possiede anche il suo soft power ideologico e la sua diplomazia economica, con 49 ambasciate nel continente nero e lo sbarco, per la prima volta, di un corpo diplomatico in Rwanda e nella Repubblica Democratica del Congo.

Una delle attività sottotraccia, ma molto redditizia, è il commercio delle armi. La Russia ha firmato accordi di cooperazione militare con l'ex Zaire, l'Etiopia e il Mozambico. Ha fornito all'Egitto attrezzature per il valore di un miliardo di dollari. La vendita delle armi innesca, oltre al ritorno economico, il sostegno diplomatico sulla scena internazionale e contratti per l'estrazione di risorse naturali. Attualmente il 18% delle esportazioni di armi russe è diretto verso l'Africa. Su scala continentale le armi di Mosca rappresentano il 41% dell'arsenale bellico esistente. Un caso emblematico riguarda la Repubblica Centrafricana, dove Putin ha inviato nella capitale Bangui circa 200 tra istruttori e militari, insieme a una copiosa formitura di armi leggere. Con un esercito smantellato per l'embargo dell'Onu, Putin ha accontentato le richieste del presidente Faustin Touadera assegnandogli persino un drappello di guardie personali e un consigliere militare. In cambio Mosca ha ottenuto che due società minerarie (la Lobaya Invest e la Almazy) possano sfruttare i giacimenti di uranio di Bakouma.

Secondo Colin Bradford, analista economico della Brookings Institution per le questioni africane, Putin persegue tre obiettivi nella sua politica estera in Africa: «Il recupero da parte della Russia dello status di grande potenza, il rispetto della comunità internazionale della sua sovranità, e un voto e una voce nei principali affari internazionali.

Le possibilità che riesca a portare a casa tutti e tre i risultati sono molto elevate».

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