Pyongyang sfida il mondo con un test atomico

Marcello Foa

Non hanno le risorse per sfamare la popolazione, ma i fondi per costruire ordigni nucleari sì. La Corea del Nord torna in primo piano. La sua è solo una minaccia, ma di quelle che tolgono il sonno. «A breve condurremo un esperimento nucleare», annuncia una nota del ministero degli Esteri di Pyongyang. E subito il mondo reagisce. Il nuovo primo ministro giapponese Shinzo Abe definisce l’avvertimento «inaccettabile» per la sicurezza del suo Paese e di tutto il Sud Est asiatico. Concetti identici vengono espressi dal Dipartimento di Stato Usa, che non perde tempo e interpella il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Per una volta anche la Russia si associa e non nasconde la sua preoccupazione, invitando però alla cautela: «Non è la prima volta che sentiamo proclami che poi non hanno avuto seguito», osserva il ministro degli Esteri Serghei Lavrov.
La Cina tace ma il suo silenzio non va interpretato come un assenso al regime stalinista di Kim Jong-Il. Al contrario. Senza gli aiuti economici e alimentari di Pechino, il Paese non sopravviverebbe. Ogni giorno centinaia di camion attraversano i ponti sul fiume Yalu portando quintali di derrate. La linfa, vitale, è cinese. E Kim Jong-Il non può non mostrarsi sensibile alle pressioni del suo omologo Hu Jintao.
Ma i rapporti non sono più idilliaci da quando, un anno fa, il governo di Pyongyang sottoscrisse, e poi rinnegò, un accordo con Russia, Cina, Giappone, Usa e Corea del Sud per la sospensione del proprio programma nucleare in cambio di aiuti energetici ed economici, oltre che di garanzie militari e politiche. Poi a luglio ha effettuato un test missilistico all’insaputa di tutti. E ciò ha provocato un ulteriore irrigidimento di Pechino che in questo momento non gradisce una crisi politico militare con gli Usa nel cortile di casa. E perciò farà di tutto per scongiurarla, sebbene con riservatezza. Sono in arrivo energiche pressioni su Kim Jong-Il e, all’occorrenza, misure senza precedenti.
Eppure Kim Jong-Il sembra intenzionato a «cogliere l’attimo» ovvero ad approfittare dell’apparente debolezza di Washington sulla scena internazionale per strappare concessioni insperate. Il destinatario del monito di ieri è l’amministrazione Bush. «La gravissima minaccia di una guerra atomica e di sanzioni da parte degli Stati Uniti costringe la Repubblica popolare a condurre un test, quale passo indispensabile per mettere a punto un deterrente nucleare», si legge in una nota di Pyongyang, che si dice «sotto ricatto»: «L’America vuole asfissiare il sistema e l’ideologia scelti dal nostro popolo».
Ma i rischi sono davvero così gravi? Gli analisti militari internazionali concordano nel ritenere che oggi la Corea del Nord possieda materiale fissile sufficiente a produrre tra le sei e le dieci bombe atomiche. Per questo motivo, a essere particolarmente inquieto è il Giappone, che per bocca del suo ministro degli Esteri, Taro Aso, da tempo «non esclude un attacco preventivo». Tuttavia i nordcoreani non disporrebbero della tecnologia necessaria per montare testate nucleari sui missili; il che ridimensiona la loro pericolosità.
La parola d’ordine è prevenire. Ed è verosimile che Washington confermi la politica di contenimento seguita dal 2002 ad oggi, a dispetto delle ripetute provocazioni di Pyongyang, che già nel 2005 aveva ammesso di disporre di armi atomiche.

Bush non vuole arrivare al confronto aperto, tanto più che ritiene basse le possibilità di un trasferimento a terzi degli ordigni nucleari nordcoreani.
Kim Jong-Il sembra alla disperata ricerca di un pretesto per restare alla guida del Paese. Più che alla guerra sembra mirare a colloqui diretti con gli Usa e alla revoca delle sanzioni economico-finanziarie.

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