Al Qaida «firma» l’assalto al consolato italiano

I fondamentalisti hanno sempre sfidato Gheddafi. Decimati negli anni ’80, ora tornano alla carica

Fausto Biloslavo

«Allah è grande - video sulla sconfitta dell’Italia», così si intitola un filmato apparso ieri su un sito internet vicino ad Al Qaida, che riprende le devastazioni del nostro consolato a Bengasi.
Il filmato dura due minuti e 40 secondi e si apre con una scritta eloquente: «Kill the kafir for muslem» (uccidi gli infedeli per i musulmani). Le riprese mostrano la facciata e le vie laterali del palazzo che ospita il consolato italiano a Bengasi, il capoluogo libico della Cirenaica. Le riprese sono state realizzate dopo le violenze di venerdì scorso, durante le quali sono morti 14 manifestanti. Ovviamente vengono messi in evidenza la forza distruttiva e la quantità di danni subiti dalla sede consolare.
Probabilmente l’operatore non è riuscito a entrare nel consolato, ma si sofferma su alcune scritte realizzate dai manifestanti sui muri dei palazzi. Quella più grande dice «Allah è grande», mentre altre sostengono che «la forza è di Allah e del suo profeta». Altre inquadrature mostrano la data degli slogan scritti sui muri del palazzo: «Bengasi 17/02/2006» e una parola di una frase più lunga, «Shuhada», che significa «martiri» in arabo e probabilmente inneggia alle vittime uccise dalla polizia. «Allah è grande, video distruzione e incendio ambasciata italiana a Bengasi, Libia, video sulla sconfitta dell’Italia» è il titolo completo delle sequenze apparse sulla rete. Trattandosi di un forum islamico l’anonimo operatore si firma con l’inquietante pseudonimo «lo sgozzatore». L’introduzione scritta risulta altrettanto eloquente: «È stato incendiato e distrutto il consolato italiano a Bengasi - si legge nel forum - che è una delle più famose città della Libia per il Jihad (guerra santa nda). Ne vedrete ancora di cose simili».
Un altro aspetto preoccupante è che sono stati inseriti come sottofondo per le immagini alcuni canti tipici di Al Qaida utilizzati per i filmati del gruppo di Abu Musab al Zarqawi, il tagliagole di Osama bin Laden in Irak. I pericoli fondamentalisti per il regime di Gheddafi hanno avuto inizio con i circa 500 volontari della guerra santa, che andarono a combattere i sovietici in Afghanistan negli anni Ottanta. Dopo la sconfitta dell’Armata rossa tornarono in patria. Nel 1995, con l’appoggio finanziario di Bin Laden e le armi provenienti dal Sudan, fondarono il Gruppo islamico combattente libico (Al-Jama’a al-Islamiyah al-Muqatilah fi-Libya), che voleva rovesciare il Colonnello a mano armata. Osama si era impegnato a pagare 50mila dollari per ogni militante che venisse ucciso da «martire». Proprio a Bengasi scoppiarono scontri durissimi con centinaia di morti e Gheddafi non esitò a usare l’aviazione per sterminare il Gruppo islamico. I superstiti raggiunsero Osama in Afghanistan al fianco del regime talebano. Nel 2001, al crollo dell’Emirato talebano, chi scrive ha trovato nei campi di addestramento di Al Qaida, alle porte di Kabul, i volantini del movimento anti Gheddafi. I libici di Al Qaida non sono pochi: Abu Anas al Libi è uno di loro coinvolto nel 1998 negli attentati contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Abu Hafs al Libi combattè al fianco di Zarqawi in Irak, prima di venir ucciso nell’ottobre 2004.
Tre giorni fa il quarantenne Abu Laith Al Libi, un altro terrorista libico, si è presentato come capo dei combattenti arabi di Al Qaida in Afghanistan.

«I nostri mujaheddin entrano nelle città come Kabul, Jalabad, Kandahar e Herat (dove si trova un contingente italiano nda) ­ ha spiegato in un’intervista registrata e diffusa su Internet -. Vi rimangono da due giorni a una settimana... e si ritirano solo dopo aver compiuto le loro azioni di guerriglia».

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