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Al Qaida ha mille kamikaze pronti a colpire

Secondo Israele l’attentato a Sharm è stato condotto da tre gruppi, fra cui pakistani

nostro inviato

a Sharm El Sheikh
Londra, per dare una seconda mazzata all'Europa dopo Madrid e saggiare la capacità operativa e la voluttà di martirio delle cellule «in sonno» nel Regno Unito, che da tempo scalpitavano per essere messe alla prova. Poi l'Egitto dell'«apostata» Mubarak, colpito alla vigilia delle elezioni in quella fabbrica di denari e di «corruzione occidentale» che è Sharm el Sheikh. Ora tocca alla Giordania del «lacchè degli americani», re Abdallah II.
Il piano ordito da Abu Musab al Zarqawi, braccio destro di Bin Laden in Irak, non è privo di una sua corrusca grandezza. Da mesi, secondo informazioni filtrate dal servizio segreto militare di Israele, oltre 1000 combattenti affiliati alla cosca di al Zarkawi in Irak sono stati fatti uscire alla spicciolata dal Paese. Il primo passo dell'operazione, che per una struttura tutto sommato esigua come è quella di Zarqawi rivela capacità logistiche e riserve finanziarie notevoli, è stato quello di far rientrare nei loro Paesi d'origine (Marocco, Arabia Saudita, Siria, Giordania, Palestina) i combattenti distaccati dalla provincia di Anbar. A ciascun militante, una volta tornato a casa, è stato fornito un nuovo passaporto corredato da un'identità nuova di zecca. Dopo di che sono stati rimessi in circolo, sparpagliati fra l'Europa, l'Africa occidentale e il Medio Oriente.
Posta al confine con la Giordania, la Siria e l'Arabia Saudita, Anbar (grande quanto un medio Stato americano) è diventata la roccaforte della guerriglia irakena. Tre anni di operazioni contro gli americani, e il governo collaborazionista di Bagdad, hanno convinto al Zarqawi, e i suoi superiori diretti, che gli irakeni cresciuti alla scuola di Al Qaida ormai possono fare ampiamente da soli. E che è venuto il momento di portare l'incendio fuori dai confini irakeni. Anbar, nel frattempo, resterà il santuario e il punto di partenza di Al Qaida in Irak, ma alquanto sguarnita di unità operative esterne, ora che la guerriglia irakena ha bisogno di minor tutela.
L'attacco all'Egitto, sempre secondo una ricostruzione dell'intelligence israeliana su cui lavorano i servizi di Hosni Mubarak, è stato compiuto grazie alla sinergia di 3 gruppi operativi: una cellula pakistana, composta di almeno 9 elementi (anche se la pista pakistana è stata ufficialmente smentita dalle autorità del Cairo). A capo della seconda ci sarebbe stato Ahmed Fuleyfel, palestinese di El Arish, città del Sinai settentrionale. Questo Fuleyfel, ricercato per l'attentato di Taba dello scorso ottobre, in cui si era immolato suo fratello Suleiman, sarebbe stato inoltre uno dei due kamikaze a cavallo dell'autobomba esplosa contro il «Ghazala Gardens» di Sharm venerdì scorso. Terzo elemento della catena, che ha fornito solo il supporto logistico in cambio di denaro e probabilmente di armi, un gruppo di scout beduini di una tribù del Sinai settentrionale.
Ora, la punta di lancia di Al Qaida è rivolta contro la Giordania. Ad Amman, dove la minaccia viene presa assolutamente sul serio, lo stato d'allerta è massimo. L'Esercito e la Polizia presidiano in forze la capitale ma anche i siti turistici di Petra e Jerash, nel nord, dove è in corso un festival. Gli occhi sono puntati anche sul confine giordano-irakeno, dove un piano per far saltare la pipeline che pompa petrolio da Kirkuk è stato sventato recentemente. Il piano prevedeva un attacco su più fronti: l'oleodotto, le colonne di autocisterne americane e giordane che portano combustibile in Irak; i terminali petroliferi e i villaggi posti intorno alle stazioni di pompaggio (per insegnare anche ai giordani che con gli americani non si collabora).
E l'Egitto? Il generale Saleb Abdel Rauf non se la sente di escludere un secondo attacco, ma assicura che «i punti deboli nel dispositivo di sicurezza di Sharm sono stati rafforzati. I punti d'ingresso in città, quelli legali e quelli illegali, sono presidiati, comprese le montagne e i sentieri dei beduini». Quando pronuncia la parola «mukhabarat», gli occhi di Rauf si riempiono di nostalgia. Bei tempi, quando il generale militava nell'intelligence egiziana. Ma sono trascorse tante primavere ormai, e ora che è in pensione, per ringraziarlo dei servizi resi alla nazione, lo hanno fatto sindaco di Sharm el Sheikh. Avessi avuto ancora una divisa, dice lo sguardo del generale-sindaco mentre vaga per la stanza di primo cittadino di Sharm, soffermandosi sul ritratto del presidente Mubarak che sorveglia la sua scrivania, tutto questo non sarebbe successo.
«Ricostruiremo in fretta, e meglio di com'erano prima - promette intanto il mudir di Sharm - ciò che è stato distrutto o danneggiato. E anche gli italiani potranno tornare con fiducia».
L'unico rovello è quella linea di confine su al nord, tra il Sinai e Israele. È sempre stato un confine colabrodo, ammette il generale. Una linea immaginaria, attraverso le sabbie roventi del deserto, attraverso il quale potrebbe passare, senza essere intercettato, il marajah di Bangalore con il suo seguito e tutti i suoi elefanti.

«Ma quando Israele si sarà ritirato da Gaza - commenta un aiutante del generale tirandosi nervosamente i baffi - diventerà come una mutanda slabbrata».

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