Questo giornale ha sempre avuto molta attenzione nei confronti della Lega, guardando al di là degli aspetti più folcloristici del movimento di Bossi per valutare invece la sostanza delle sue proposte. Spesso apprezzandole. Non più tardi di dieci giorni fa, sostenevamo in un editoriale che non solo il Carroccio ha tutto il diritto di reclamare che il Parlamento cominci a discutere del federalismo fiscale al più presto, ma che questa «pretesa», scremata dai comprensibili aspetti di propaganda interna, è in realtà un favore fatto all’Italia, che di certe riforme ha oggettivamente bisogno. Insomma, non ci dispiace l’energia leghista volta a imporre un necessario cambiamento ad alcune strutture arrugginite dello Stato, anche al prezzo di qualche ruvido confronto con gli alleati. E lo abbiamo scritto.
Accanto (o meglio, dietro) a questa Lega di governo, però, negli ultimi tempi ne spunta un’altra. Una Lega «romana», che intrattiene rapporti con qualche margine di ambiguità con l’opposizione. Una Lega di Palazzo, che consuma blitz notturni per decapitare Authority indipendenti e per vanificare il tentativo di introdurre più concorrenza nei servizi locali (per intenderci, l’identica mossa compiuta nella scorsa legislatura da Rifondazione Comunista).
Ecco, non siamo sicuri che sia questo - il difensore delle piccole Iri a scapito di liberalizzazioni che garantirebbero tariffe migliori ai cittadini - il Carroccio che gli elettori del Nord desiderano. E dubitiamo che sia questa la strada che porta all’indispensabile ammodernamento del Paese.
Di contro, c’è qualche tema «leghista» che negli ultimi tempi ci sembra passato un po’ in secondo piano, travolto dalla pretestuosa polemica sulle impronte digitali dei bimbi rom.
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