di Giorgio Fiore*
Per rilanciare lo sviluppo non servono interventi episodici, occorre invece un «new deal». Una visione diversa del futuro, basata su aspettative quanto più vicine possibili alla realtà. Intendo dire che, nel prossimo futuro, il Paese sarà caratterizzato da un minore livello di consumi. Non per questo, però, dobbiamo pensare a un Paese più povero se produrremo maggiori «contenuti», con un aumento della qualità della vita e una maggiore mobilità sociale.
Penso alle numerose ipotesi di sostituzione del Pil, con indicatori del progresso reale, capaci di misurare il benessere sostanziale dei cittadini; il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e privati; la sostenibilità, intesa come capacità di assicurare, in futuro, lo stesso capitale economico, umano e ambientale. Un nuovo «new deal» deve coinvolgere, soprattutto, le imprese la cui competitività si dovrà basare sul costo complessivo del sistema Paese. Esse dovranno ragionare, su modelli nuovi di contrattazione, perché diversi sono i contesti territoriali e le tipologie di aziende. Le tutele dei lavoratori non vanno eliminate. Occorre, invece, trovare il modo per estenderle, a chi non è occupato. È impensabile, oggi, considerare di risolvere il problema giovanile, senza nuove regole nella fase di passaggio dalla scuola al lavoro. Questa va resa quanto più fluida possibile. Allo stesso tempo, non è ipotizzabile un continuo allungamento dell'orario lavorativo. Molte analisi economiche, infatti, dimostrano quanto questo fatto sia controproducente per la redditività generale. Sarebbe rivoluzionario, invece, agevolare le imprese con una maggiore turnazione, tanto da favorire un aumento delle opportunità di lavoro, così come accade in Germania.
*Presidente di Confindustria Campania
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