Obama non ci andrà, ed è una grande notizia. Chi c’era, come è capitato a questa cronista, sa che cosa è stato e quanto sia importante che gli Usa abbiano fatto la cosa giusta. A Durban, in Sud Africa, nel 2001, giusto alla vigilia dell’11 settembre, la scena stessa era paradossale: una selva di follie antiamericane e antisemite celebrava quella che avrebbe dovuto essere una conferenza contro il razzismo... Cortei di Ong che affiancavano la conferenza dell’Onu marciavano sotto ritratti di Bin Laden urlando slogan jihadisti e bruciando bandiere americane, se appariva un ragazzo che indossava una kippà la caccia all’uomo si faceva inseguimento; nei corridoi dello stadio, sede delle Ong, poco lontano dal Palazzo dei Congressi, si distribuivano volantini in cui gli israeliani venivano chiamati nazisti, gli americani boia e sfruttatori; Israele era divenuto uno Stato di apartheid con astuto riferimento al Sud Africa in cui ci trovavamo. Nei corridoi del palazzo dei congressi le folle dei giornalisti seguivano Arafat, Fidel Castro, Mugabe, che nei loro interventi disegnavano un mondo in cui la giustizia era dipinta alla rovescia, i diritti umani seguivano lo schema dello scontro “antimperialista”, il dittatore Mugabe diventava un santo protettore dei figli degli schiavi deportati dall’Occidente capitalista (per carità, mai dagli arabi), e ora reclamanti risarcimenti dagli Usa per i loro regimi oppressivi. Israele era senz’altro definito come un’entità del tutto illegittima, avida di sangue, la costruzione di uno Stato ebraico, espressione della volontà nazionale del popolo ebraico eguale a ogni altro popolo e approvata da tutto il mondo, un muro di apartheid pari a quello che aveva separato bianchi e neri in Sud Africa fino alla rivoluzione di Mandela. Il terrorismo appariva una legittima, addirittura indiscutibile lotta per la libertà. La delegazione canadese fu la prima ad andarsene, poi seguirono, incerti e stupefatti, Israele e gli Usa.
Le follie di Durban sono diventate discorso pubblico comune. Sull’onda di un antisemitismo che non ha avuto pari negli ultimi anni, mentre si sollevava una nera schiuma di odio in cui i termini apartheid, razzista, nazisti, si diffondevano insieme alla negazione della Shoah, guardando solo agli ultimi giorni si trovano un riverito autore di teatro inglese che rappresenta a Londra una piece dove insegna come i bambini ebrei sono educati a uccidere e a odiare e studenti che spazzano l’Università di Toronto gridando «Crepate ebrei, via dai campus».
In questa atmosfera le commissioni nominate dall’Onu per preparare per i giorni fra il 20 e il 25 aprile a Ginevra la seconda puntata della conferenza antisemita in nome dell’antirazzismo, hanno tessuto la tela sotto la presidenza della Libia e l’attiva collaborazione dell’Iran (vicepresidente) e di Cuba. I documenti, pur negoziati anche con emissari di Obama, i cui sforzi per salvare la conferenza erano stati rafforzati nell’ultima settimana, erano tuttavia di nuovo quelli del 2001: razzismo, apartheid, crudeltà gratuita verso i palestinesi... Israele delenda est. Una condanna senza appello al diritto stesso di esistenza secondo i valori contemporanei correnti. Ma Obama ieri ha dovuto prendere atto che l’odio verso Israele non è negoziabile, come non lo è la scelta di condannarlo innanzitutto alla morte morale, metterlo fuori dalla comunità degli Stati viventi, come fu per il Sud Africa, per collocarlo fra quelli in via di estinzione. Così Obama, a meno, dicono gli Usa, di cambiamenti drammatici, non andrà a Ginevra.
Ora tocca a noi: Frattini ha già dichiarato che l’Italia non vuole fare parte dello sporco giuoco della criminalizzazione.
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