Quando le app diventano un lusso

Non solo giochi o servizi:le applicazioni Apple (e pure Android) sono anche di alta gamma. E a volte fanno diventare ricchi

Mark Perna

L'app economy spesso sale alla ribalta popolare solo quando qualche intuito geniale si trasforma in una montagna di dollari. È il caso recente di Ben Pasternak, diventato milionario grazie all'applicazione Flogg, una via di mezzo tra eBay e Tinder per aiutare gli adolescenti a sbarazzarsi delle cose che non vogliono più. Ma l'antologia dei baby paperoni non si ferma al sedicenne australiano, famoso è anche il caso di Nick D'Aloisio che con la start up Summly era già pronto per andare in pensione a 17 anni, e la fortuna ha baciato anche il nostro Christian Sarcuni ideatore di PizzaBo, comprata lo scorso anno da un gruppo tedesco per una cifra indicativa di 50 milioni di euro. Casi di successo, dove appunto la casualità è decisamente elevata. Non tutte le app sfondano e non tutti fanno soldi a palate, ma il dato interessante non riguarda le unicità, piuttosto l'intero comparto industriale. Nel 2015 sono state installate quasi 156 miliardi di app e questo ha generato ricavi per 34,2 miliardi di dollari, pubblicità esclusa. Secondo i dati di IDC, le app arriveranno a 210 miliardi nel 2020 con ricavi pari a 57 miliardi di dollari. Una crescita robusta, ma non un boom perché il mercato è già entrato in una fase di maturità. Tuttavia è piuttosto indicativo il fatto che l'ecosistema dell'App Store di Apple ha raccolto più della metà dei ricavi diretti dalle app dello scorso anno, il 58% del totale globale (+36% rispetto all'anno prima). Un dato significativo nonostante la fetta di app installate sia solo del 15%, l'8% in meno dell'anno precedente.

Il rivale Android che gira su oltre l'80% degli smartphone, porta a casa circa il 36% dei ricavi. Numeri che dicono essenzialmente due cose: che l'economia delle app è un settore decisamente profittevole, e che conviene investire nel mondo iOS. Così ha fatto Roberto Macina, co-founder e Ceo di Qurami, l'app che ha rivoluzionato il modo di fare la fila. «Quando abbiamo iniziato la nostra avventura nel 2011 non era semplice spiegare che si poteva fare un business con una app, soprattutto a clienti grandi e strutturati, ora aziende come Enel, Trenitalia, Wind e altri sono nostri partner», dice al Giornale Roberto Macina. Qurami consente di prendere una sorta di numerino elettronico anche prima di entrare in banca, in comune e in altri posti dove c'è da fare una fila, avvisandoti prontamente quando sta per arrivare il proprio turno. Si tratta di un'idea semplice, ma dal grande impatto sulla qualità della vita, non a caso ora l'azienda capitanata da Macina pensa di allargare il business usando l'app per prenotare servizi locali come il parrucchiere o la lezione di yoga. «Quando abbiamo iniziato il team era composto solo di tre persone, ora siamo in 15 e cresceremo ulteriormente perché le opportunità di mercato sono molto stimolanti e promettenti», sostiene ancora il trentenne imprenditore romano. Proprio quello dell'impego è un aspetto importante dell'app economy.

Da quando Apple ha dato il via alla rivoluzione delle app, nel 2008, in Europa sono stati creati circa 1,4 milioni di posti, mentre in Italia si contano 264 mila sviluppatori registrati iOS e oltre 75.000 posti di lavoro sono attribuibili all'App Store. Una ricaduta importante sull'occupazione che risponde anche agli imperativi dell'era digitale, dove il lavoro orami te lo devi creare da solo, in modo dinamico e proattivo. Intanto è noto che Apple ha deciso di puntare sull'Italia pianificando a Napoli l'apertura del centro europeo per le app che potrebbe dare lavoro a circa 600 persone, con un interessante effetto volano sull'indotto.

Occorre comunque ridimensionare l'entusiasmo ricordando che farsi largo nel mondo delle app non è cosa semplice. Basta vedere quante app abbiamo sul nostro smartphone e poi quante sono quelle che realmente utilizziamo, facendo quindi le debite proporzioni. Come sempre a fare la differenza sono le intuizioni geniali e il talento. Alcuni settori sono decisamente promettenti come quello dei videogame, ma la polarizzazione del business in poche mani è evidente, meglio allora puntare a ambiti emergenti come quello legato all'Internet delle cose o ai servizi alla persona.

Le app di dating ad esempio sono in forte crescita e i recenti ingressi di Happn e Once dimostrano che c'è

spazio per le novità, ma non mancano neanche i casi delle app di «consigli personali» come quelli che ad esempio elargisce Alessia Marcuzzi con la sua Pinella City, una vera e propria city guide realizzata dalla showgirl.

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