nostro inviato a Berlino
Eccoli là, riuniti come in un bel quadretto di famiglia. In tribuna Maradona, in mezzo al popolo, con leterna camiseta numero dieci. Tra i vip, telecamere addosso, un paio di signore a fargli compagnia, i potenti del calcio pronti ad omaggiarlo, ecco Franz Beckenbauer: oggi il padrone di casa di questo mondiale, allora sempre seduto in panchina. Laggiù al bordo del prato dellOlympiastadion, un po in piedi, un po seduto per non rischiare di bruciarsi troppo sulla panchina bollente, Jürgen Klinsmann: che allora faceva gol, oggi fa il ct. Ci riportano al tempo che fu, venti anni fa e poco meno: nel gigantesco stadio dellAtzeca di Città del Messico (1986, proprio ventanni ieri), eppoi nellorrido Olimpico (1990) che fischiò linno argentino solo perché Maradona era laggiù sul campo.
Cerano anche Valdano e Rummenigge, Matthäus e Voeller, Carlos Bilardo in panchina, tutta gente che sarà sparsa in qualche angolo dellOlympiastadion, davanti a un microfono a commentare. Eroi, personaggi di un tempo passato, oggi così diversi ma così attuali. Germania e Argentina ci ripropongono il revival. È ancora storia calcistica: dura e senza paura. I loro scontri ai mondiali non sono stati tanti, ma hanno messo sempre il brivido della tensione e delleccitazione. Ci furono i gol di Helmut Rahn e Uwe Seeler nel 58 in Svezia, poi lunico pareggio in Inghilterra. Infine quelle due finali: quattro anni di distanza una dallaltra, una vittoria a testa. Maradona e la sua mano divina contro lInghilterra. Burruchaga, Brown e Valdano per saldare i conti con la Germania. Cambio di scena nel 90: Matthäus e la sua banda un po cinica. Voeller che segna nelle prime partite, Klinsmann che mette una firma, ma poi tocca ad Andy Brehme che realizza tre gol uno più importante dellaltro, compreso quel rigore non proprio chiaro nella finale.
LArgentina del Messico era una grande squadra ed aveva un grandissimo Maradona, quella «italiana» aveva Dezotti, Ruggeri, Troglio, Caniggia, qualcuno era di seconda mano. Nel 1986 Maradona era un demonio, venne premiato quale miglior giocatore del mondiale. Beckenbauer non ci capì molto, ma la Germania tenne duro. Rummenigge e Voeller fecero stare lArgentina con il dubbio e la paura. Nel 90 Beck diede un ordine preciso a Guido Buchwald, una delle sue guardie di ferro: «Tu pensi solo al numero 10». E Buchwald non fece altro. Oggi lo ricorda come uno dei giorni più belli della sua storia calcistica. «Lo seguii dappertutto, lui era infastidito e mi lanciò maledizioni. Da allora venni chiamato Diego».
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