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Quando il calcio nel sedere può essere educativo

Caro Granzotto, non crede che si stia esagerando dando addosso in tal modo all’allenatore del Catania Baldini, per il famoso calcio nel sedere di Di Carlo, allenatore del Parma? Grande unanimità per la crocefissione dello stesso: da Baudo a Gasparri, non ultimo il vostro Grassia. Io non sono d’accordo. Va bene il rimprovero e la squalifica, ma non esageriamo, suvvia! Tutto ruota attorno al concetto di atto di violenza. Ma può un calcio nel sedere essere considerato alla stregua di un cazzotto in faccia, un calcio in testa o all’addome, o una sprangata? Ed i salutari, spesso ripetuti, calci nel didietro di paterna (o materna) provenienza, purtroppo ora non più politically e socially correct, cosa sono: tentato omicidio reiterato? Gradirei un suo parere, magari con riferimento a qualche storico, più o meno famoso, calcio nel sedere.



Il fatto è, caro Giaggiotti, che bisogna tener alta la guardia. Con quello che succede negli stadi non bisogna dar per buono nemmeno il bonario, l'affettuoso ganascino (peggio che mai se dato con la voltata). Ciò premesso, lei ha perfettamente ragione. Al calcio nel sedere mancano i connotati dell'atto violento: la brutalità e la cattiveria. È mossa infantile o comunque che attiene all'infanzia quando, come lei ricorda, i «ti prendo a calci nel sedere» minacciati da padri (che ancora erano padri e non amici dei figli) be’, si sprecavano. Colpendo (ma il più delle volte la zampata va a vuoto e mi pare che così sia andata anche a Baldini) una parte generalmente ben in carne, la pedata non fa male. Di più: ha in sé una vena burlesca che smorza l'eventuale rabbia di chi lo sferra e il risentimento di chi lo riceve. Le comiche di Stanlio e Ollio erano piene di calci nel sedere, e se ne rideva. Infine, il calcio nel sedere ha un suo risvolto utilitaristico indicando una «spintarella» più energica: si manda avanti qualcuno, lo si promuove «a calci nel sedere».
C'è un'altra cosa da dire sul calcio nel sedere: esso ha dignità storica. Se già non lo sa, deve sapere, caro Giaggiotti, che la permanenza austriaca in Lombardia lasciò tracce anche nel linguaggio popolare, parole come «mangiasego», «caiserlicchi», «tognini» (tutti sinonimi di austriaco, di soldato o funzionario di Cecco Beppe) e «radeschi». Radeschi stava esattamente per pedata nel didietro. All'origine del modo di dire c'è ovviamente lui, il conte Johann Josef Radetzky, feldmaresciallo dell'esercito austriaco a lungo governatore del Lombardo-Veneto. Ebbene, passeggiando per Milano costui udì uno dei suoi figli (uno di quelli avuti dalla moglie contessina Franziska Strassoldo, non uno dei quattro che gli diede l'amante, Meregalli Giuditta, lavandaia e ricamatrice in bianco) insultare un sacerdote che gli impediva il passo. Indignato, con lunghe e marziali falcate il maresciallo si fece sotto cogliendo di spalle quel discolo e assestandogli un poderoso calcio nel sedere (colpendo l'obbiettivo). La gente rise. Il discolo si allontanò con la coda fra le gambe.

Il sacerdote ringraziò e Radetzky, fatto un cenno col capo, riprese imperturbabile la sua passeggiata. Senza immaginare che l'episodio avrebbe dato vita ad una nuova espressione: «Se non la smetti ti tiro un radeschi».
Paolo Granzotto

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