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Quando la censura arrivava da sinistra: il ddl di Mastella e Prodi era più severo

Allora come oggi vietava di pubblicare gli atti. E l'ascolto poteva durare solo 60 giorni. Le perplessità dei dalemiani: "Campagna dannosa, certe cose non vanno rese pubbliche"

Perfino i dalemiani hanno qualche dubbio. «La campagna in difesa delle intercettazioni e contro la cosiddetta legge bavaglio - si legge sul sito Left Wing – si sta rivelando persino più dannosa di qualsiasi soluzione sarà infine adottata».
Il sito vicino al leader Pd dice, però, che l’opinione pubblica non aveva diritto di conoscere la telefonata dei due imprenditori «sciacalli», che ridevano per il terremoto, pensando ai loro affari. E questo, perché «non sono ancora previsti nel nostro codice i reati di cattiveria, cinismo e avidità».
D’altronde, pochi ricordano in questi giorni che il centrosinistra ha portato avanti il «progetto Mastella» sulle intercettazioni. Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, ha detto che «non era condivisibile in tutte le sue parti ma era meno tosto rispetto all’attuale». Anche il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, lo preferiva a quello attuale.
Ma vediamolo quel testo del 2007, mai esaminato dal Senato dopo l’approvazione alla Camera da parte di maggioranza e opposizione, praticamente all’unanimità: 447 voti favorevoli, 7 astensioni e nessun contrario.
Il ddl Mastella, come quello Alfano, prevedeva il divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pm o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari. Idem per conversazioni telefoniche o flussi di informazioni informatiche o telematiche e i dati riguardanti il traffico telefonico, anche se non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari. E se si andava al dibattimento, non era consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo del Pm, se non dopo la sentenza d’appello.
La durata delle intercettazioni era di 15 giorni, prorogabile per altri 15 dal giudice con decreto motivato e per una durata complessiva non oltre 3 mesi. Cioè 60 giorni, contro i 75 previsti dal ddl Alfano. Limite superabile solo in caso di nuovi elementi investigativi.
Molto pesanti anche le sanzioni per i giornalisti: se pubblicavano atti del procedimento o intercettazioni telefoniche coperte da segreto scattava l’ammenda da 10mila a 100mila euro, in alternativa alla reclusione fino a 30 giorni. Per illeciti per finalità giornalistiche c’era la sanzione amministrativa della pubblicazione sui giornali dell’ordinanza che accerta l’illecito a spese dei responsabili.
Nel testo ora in Senato c’è l’arresto fino a 2 mesi e il pagamento di un’ammenda dai 2mila ai 10mila euro, per la pubblicazione di atti e per le intercettazioni, la condanna sempre all’arresto fino a 2 mesi e l’ammenda dai 4 ai 20mila euro.
Il ddl Mastella prevedeva anche la pena da 6 mesi a 3 anni di reclusione per chi rivelava notizie sugli atti del procedimento coperti da segreto. Se il fatto era commesso per colpa o per «agevolazione colposa», c’era la reclusione fino a un anno. Per un pubblico ufficiale da 1 a 5 anni. Reclusione da 1 a 3 anni per chi in modo illecito conosceva atti del procedimento penale coperti da segreto. E per chi deteneva conversazioni telefoniche illecite c’era la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Chiunque rivelava, con qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto di documenti elaborati per mezzo di una raccolta illecita di informazioni era punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Per un pubblico ufficiale, da 1 a 5 anni.


«Tosto», il ddl Mastella, lo era eccome.

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