«Siamo la più grande potenza maomettana del mondo», amava ripetere Winston Churchill quando era ministro delle Colonie nel governo di David Lloyd George. Una battuta? Non del tutto.
LInghilterra contava nel suo impero, dal Sudan allIndia, milioni di musulmani. E ora, subito dopo la prima guerra mondiale, si trovava di fronte a unaltra sfida. Come amministrare i territori arabi sottratti alla Turchia, alleata di Austria e Germania? In particolare, che fare di quella vasta e turbolenta regione che oggi è costituita dallIrak? Una nazione, lIrak, che fu peraltro, in gran parte, invenzione dello stesso Churchill. Creata a tavolino, tracciando una serie di linee sulla carta geografica e riunendo in un unico Stato sciiti, sunniti e curdi. Le conseguenze remote di quella decisione sono sotto gli occhi di tutti. Come ci si arrivò lo spiega ora lo storico Christopher Catherwood in un libro dal titolo più che eloquente: La follia di Churchill (Corbaccio). Catherwood non è un pacifista né uno che metta in conto ai defunti le colpe dei viventi. Anzi, è stato consulente strategico di Tony Blair e continua a sostenere la necessità dellintervento contro Saddam Hussein. Eppure la sua analisi sugli errori dellOccidente, ieri e oggi, è impietosa.
Ci sono analogie impressionanti tra le difficoltà di Churchill e quelle di George Bush: il problema di mantenere lordine in una società divisa etnicamente e confessionalmente ma comunque unita nellodio verso gli occupanti; la necessità di conservare un presidio militare insieme alla voglia di ridurre al massimo i costi umani ed economici delloperazione; il tentativo di installare al più presto unautorità politica autonoma, che permetta il ritiro delle truppe ma garantisca la fedeltà del nuovo governo agli ex invasori. E, oltre alle analogie, ci sono le conseguenze di lunga durata delle scelte di Churchill. Come quella di imporre un sovrano sunnita, lhascemita Feisal, a una nazione composta in maggioranza da sciiti. Nonché, in primo luogo, appunto lartificialità dellintera operazione, studiata a tavolino e mandata avanti affidandosi alla buona stella.
Tutto iniziò nel 1918, quando gli inglesi entrarono con le loro truppe a Bagdad, sottraendo la Mesopotamia al dominio ottomano. La vittoria inglese era già stata propiziata dalla rivolta araba in cui si era distinto T.E. Lawrence, il famoso «Lawrence dArabia», che fu poi stretto collaboratore di Churchill. La crisi dellimpero turco mise i vincitori di fronte al problema di come riorganizzare lintera area mediorientale. Siria e Libano furono poste sotto la sfera dinfluenza francese, mentre la Mesopotamia fu affidata agli inglesi. Il problema mesopotamico si rivelò subito grave, come testimoniò già nel 1920 una sanguinosa rivolta contro gli inglesi partita da Mosul, a cui Churchill ordinò di rispondere con luso dei gas asfissianti. Churchill aveva chiarissima la situazione. Come testimoniano i Chartwell Papers, i carteggi manoscritti conservati a Cambridge e usati da Catherwood per il suo libro, egli aveva chiesto relazioni dettagliate sulle comunità religiose dellarea. La sua prima idea fu quella di creare tre entità distinte: un Kurdistan a nord, una zona sunnita nel centro, compresa Bagdad, e un sud a maggioranza sciita. La sua preoccupazione fondamentale era comunque ridurre limpegno inglese in una zona che riteneva di scarsa importanza strategica rispetto «allimmensa fertilità e al valore dei nostri territori in Africa» (non era ancora chiara, allora, la rilevanza dei giacimenti petroliferi del Golfo). «Non possiamo continuare a spendere enormi somme in Mesopotamia», scriveva Churchill al suo primo ministro. E aggiungeva: «Sarà quasi impossibile mantenere Mosul e Bagdad senza un esercito potente e costoso; il generale deterioramento del sentimento maomettano verso la Gran Bretagna continuerà ad avere conseguenze negative in tutte le direzioni; francesi e italiani daranno le loro spiegazioni mentre noi saremo dipinti ovunque come il nemico numero uno dellIslam».
Come si vede, insomma, la storia tende a ripetersi. E Churchill, come oggi George Bush, era anche consapevole delle controindicazioni ai suoi progetti di disimpegno: «Durante la guerra siamo entrati rapidamente in Mesopotamia e abbiamo spodestato un governo turco che era lunica guida stabile del Paese in quel momento. Di fronte a tutto il mondo ci siamo impegnati a introdurre un governo migliore di quello che avevamo rimosso. Se ora fuggiamo disonorevolmente, lasciando dietro di noi anarchia pura, sarà accaduto qualcosa di molto discordante dallusuale reputazione della Gran Bretagna». La soluzione si profila in un imperialismo light: bisogna creare un governo amico sul luogo, dice Churchill, e ritirarsi lasciando solo le basi della Royal Air Force come presidio. Così, nel 1920, in una riunione presieduta da Churchill stesso allHotel Semiramis del Cairo, nasce lo Stato iracheno. Viene proposto come re lhascemita Feisal: si decide un referendum democratico, ma non troppo, che garantisca il successo del candidato imposto dagli inglesi (il candidato alternativo, Sayyid Talub, ministro degli Interni del governo provvisorio, viene esiliato a Ceylon). Feisal diventa re e, consapevole di essere un fantoccio, si sente subito in dovere di prendere le distanze dagli inglesi. Churchill è seccato: «Sei mesi fa pagavamo il conto dellalbergo di Feisal a Londra e adesso mi tocca leggere messaggi di ottocento parole riguardo la sua posizione e le sue relazioni con le potenze straniere. Non ha delle mogli che lo tengano buono?».
Intanto, lidea di una tripartizione della Mesopotamia si è persa lungo la strada di defatiganti trattative diplomatiche. LIrak nascerà con le stimmate di unulteriore instabilità futura. Decenni più tardi, Saddam Hussein prolungherà ulteriormente la dittatura sunnita su sciiti e curdi.
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