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Quando De Magistris s’inventò la clinica degli orrori

Il magistrato candidato con Di Pietro si presenta come un «moralizzatore» infallibile ma la sua carriera è una lunga serie di flop Clamorosa la vicenda di un inesistente «lager per anziani»: dopo arresti e denunce, alla fine proscioglimenti e tante scuse per tutti

Luigi De Magistris fu nominato magistrato di tribunale l'8 luglio 1996. Giunse a Catanzaro quell'anno stesso, ventinovenne, e si presentò ai colleghi incitando sin da subito alla «moralizzazione della cosa pubblica». Quest'ultima espressione comparirà nell'ordine d'arresto della sua prima inchiesta importante, la 1471/96.

La clinica degli orrori
Così ribattezzarono un'indagine grazie alla quale ventuno incensurati di una clinica privata, Villa Nuccia, finirono in galera con le accuse più turpi: violenza contro un centinaio di malati mentali, omicidio dei medesimi, favoreggiamento di latitanti, falsi certificati per esonerare dei figli di mafiosi dal militare, cose del genere. De Magistris mostrò già allora una certa disinvoltura nel contestare il peggio: sequestro di persona, omicidio, falso, maltrattamenti, associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Il clamore mediatico fu enorme, e la stampa prese finalmente conoscenza del personaggio: La vita in diretta (Raidue) si soffermò sul caso per settimane. Tutto era fondato sulle confidenze rese a De Magistris da Mario Ammirato, un ex infermiere; oltre alle sue parole, il nulla. Le richieste d'arresto iniziavano così: «Nell’ambito dell’attività di indagine rivolta alla moralizzazione della cosa pubblica...». Era partita la lunga rincorsa di Luigi De Magistris verso fantomatiche lobby di potere da perseguire a tutti i costi.

Tra gli arrestati principali c'era il primario Antonino Bonura, già medico militare pluridecorato con alle spalle diverse missioni all'estero: peraltro era medico legale nella stessa Procura che l'aveva arrestato, e dopo la carcerazione gli venne un infarto. De Magistris, a un anno dal primo arresto, lo incarcerò una seconda volta: fu l'unico errore di cui il magistrato ebbe a scusarsi pubblicamente. È di allora anche un primo tentativo di coinvolgere in qualche modo Giuseppe Chiaravalloti, ai tempi avvocato generale presso la Corte d'Appello e futuro presidente della Regione: il pm lo tirò in ballo sul presupposto che in clinica avesse abbracciato Antonino Bonura.

De Magistris chiese i rinvii a giudizio del caso ma l’udienza preliminare sfociò in una sentenza di non luogo a procedere per tutti: Vittoria Palazzo, Corrado Decimo, Vincenzo Lombardi, Achille Tomaino, Massimo Aria, Giuseppe Giannini, Francesco Trapasso, Alfonso Colosimo, Salvatore Moschella e Giovanni Ferragina. Prosciolti. De Magistris impugnò la sentenza, ma il 22 gennaio 1999 la Corte d’Appello di Catanzaro confermò i proscioglimenti in toto. La vicenda, complicatissima, si inerpicherà in un totale di undici processi in dieci anni, e alla fine saranno assolti tutti gli imputati tranne uno: Mario Ammirato, proprio lui, il confidente di De Magistris. Il cardiopatico Bonura e il trapiantato di fegato Salvatore Moschella, invece, ricevettero rispettivamente 50mila e 180mila euro per ingiusta detenzione. Ma la clinica era ormai sputtanata e dovettero cederla. La Corte d'Appello liquidò ingenti riparazioni anche per gli altri.
Sono di allora i primi scontri con Giancarlo Pittelli, avvocato dei succitati e negli anni a venire parlamentare di Forza Italia: per De Magistris una sorta di nemico pubblico. Sempre in campo sanitario, Pittelli fronteggerà il magistrato in molti altri procedimenti tra i quali uno discretamente demenziale: De Magistris accusò di falso alcuni farmacisti comunali che a suo dire non avevano obliterato alcune fustelle, ossia i talloncini dei prezzi che ci sono sulle scatole dei medicinali; tuttavia verrà fuori che i farmacisti non avevano potuto obliterare le fustelle perché De Magistris, per altro procedimento, gli aveva già sequestrato l'apparecchietto per l’obliterazione. Archiviazione.

L'abuso che non c'era
Il secondo clamoroso buco nell'acqua fu il procedimento 496/97, in cui De Magistris accusò di abuso d'ufficio gli amministratori comunali Giovanni Alcaro, Giuseppe Mazzullo, Lucia Rubino, Valerio Zimatore, Domenico Tallini, Michelino Lanzo, Costantino Mustari e Fausto Rippa. L'accusa, in sostanza, fu quella d'aver riassunto in comune questo Fausto Rippa con una delibera irregolare. A stabilire che lo era, regolare, c'era già una sentenza del Tar, la numero 864 del 5 settembre 1995: ma De Magistris chiese il rinvio a giudizio lo stesso, e il 15 dicembre 1997 il giudice decise per il non luogo a procedere. Motivazione: insussistenza del fatto. L'appello di De Magistris verrà dichiarato inammissibile.

Provveditore, anzi procuratore
L'indagine sulla costruzione del nuovo palazzo di giustizia di Catanzaro (609/96) fu naturalmente un altro flop. De Magistris ipotizzò dei generici «tentativo di abuso d’ufficio» e «tentativo di truffa aggravata» ai danni di Giuseppe Gatto e Antonio Rinaldi e Valerio Zimatore. L'impostazione accusatoria implicava necessariamente la complicità dei vertici della magistratura catanzarese, che formalmente non furono però indagati. Era ancora presto. Ovviamente il sequestro del palazzo in costruzione venne subito revocato dal Tribunale della libertà, ma attorno a De Magistris cominciarono a succedere delle cose strane. La trascrizione delle intercettazioni telefoniche di Giuseppe Gatto, infatti, fu artefatta: non solo la frase «provveditore generale» fu sostituita con «procuratore generale», ma tra parentesi fu messo il nome di Giuseppe Chiaravalloti, appunto procuratore generale a Reggio Calabria. Quest'ultimo, stupito, trasmise una rimostranza al Comando Generale dei Carabinieri: ma fu lui che fu inquisito per calunnia e diffamazione ai danni del capitano responsabile della trascrizione telefonica. Ovviamente Chiaravalloti sarà prosciolto in udienza preliminare e anche in Appello, mentre il capitano responsabile della trascrizione se la caverà con delle sanzioni disciplinari; ma a questo buco nell'acqua, poi, si aggiungerà la richiesta di processare i succitati Gatto e Rinaldi e Zimatore con la decisione del giudice, il 25 febbraio 1998, di non processare nessuno. De Magistris fece appello. Respinto.

Non pago, De Magistris trasmise alla Procura di Messina (competente su Reggio Calabria) una nota dove si ipotizzava che Chiaravalloti avesse rivelato dei segreti d'ufficio: ma il giudice archiviò. Dalla sentenza peraltro si evinse che De Magistris aveva indagato su Chiaravalloti quando il medesimo era ancora avvocato generale a Catanzaro, ossia nella stessa sede giudiziaria dove operava De Magistris: una procura, cioè, aveva indagato su se stessa.

Come ti salto il giudice
Se molti giovani avvocati rammentano De Magistris anche se non l’hanno mai incontrato, è per via della sua inchiesta su presunte irregolarità negli esami di procuratore legale a Catanzaro. Più che presunte, le irregolarità erano certe: risultò evidente, su 2.301 partecipanti all'esame, che 2.295 avevano copiato. Il problema è che De Magistris, pur indagando praticamente tutti i 2.000 candidati, non ebbe modo di dimostrarlo: il procedimento finì in nulla. Restò notevole la pretesa del magistrato affinché i commissari d'esame, davanti ai carabinieri, aprissero anzitempo le buste degli elaborati col rischio di invalidarle tutte.

Era un De Magistris ancora acerbo, comunque. Certe fisse, come quella d'inquisire soprattutto politici e magistrati, erano già ben delineate: ma ogni volta sbatteva la capa contro i controlli di legittimità dei suoi colleghi, ossia giudici, gip, gup, riesame, Appello, Cassazione, annullamenti, assoluzioni, proscioglimenti. Il De Magistris che tornerà a Catanzaro nel 2002, dopo un interregno nella natia Napoli, risolverà ogni problema adottando soprattutto un genere di provvedimenti che per essere spiccati non abbisognano neppure della fastidiosa convalida di un giudice: perquisizioni, sequestri probatori, interdizioni, fermi di polizia eccetera. Anche la sua propensione a intercettare mezzo mondo, alleandosi con le fantasie spionistiche dei vari Gioacchino Genchi, era tutto sommato ancora timida.

Si stava solo scaldando.
(2 - Continua)

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