Nel medesimo anno 1895 in cui usciva in prima redazione uno dei suoi romanzi più fortunati, I misteri della jungla nera, Emilio Salgari (1842-1911), narratore fecondissimo per natura e per necessità, pubblicava anche dellaltro: ad esempio un romanzo che raccontava di una ennesima spedizione al Polo Antartico. Autore di oltre ottanta romanzi, non stupisce che solo una modesta percentuale di così copiosa bibliografia abbia incontrato il favore enorme di un pubblico di adolescenti: da quelli dellepoca di Salgari ai ragazzi del 1950. Lavventura - dal Corsaro nero alle Tigri di Mompracem, per citare solo un paio di titoli famosi -, questo inesauribilmente forniva Salgari ai lettori, e vi fu chi (esagerando) evocò ascendenti nobili: Kipling per le ambientazioni esotiche, Verne per la sfida che il combattivo ingegno umano lancia ai divieti imposti dal buon senso, ai limiti osservati dalla quasi totalità degli abitanti del pianeta.
Fantascienza? No, il libro a cui accennavo, dimenticato a lungo e oggi riproposto in una gradevole anastatica a cura di Sergio Giuntini (Al Polo Australe in velocipede, Limina, pagg. 310, euro 15, nella collana «La corsa di Atalanta» diretta da Alberto Brambilla), si tiene al di qua delle trasgressioni estreme - penso a Stevenson, a Wells - che mettono a repentaglio, collintegrità del corpo, la salvezza dellanima. Più semplicemente, facendo tesoro dellaltrui esperienza, cioè di una serie di imprese mancate se non tragiche addirittura, cè qualcuno che - da Baltimora, nel novembre 1892 - osa partire alla volta di quelle zone ghiacciate e sinora inviolate, convinto di farcela. La peculiarità del romanzo risiede non nella scontata celebrazione della tenacia con cui lumanità ritenta dove ha fallito, bensì in un «duello» che, allinterno dellepica sfida, si crea fra due diversi caratteri: larmatore inglese Linderman, che di suo impiega capitale (lattrezzata goletta Stella Polare con adeguato equipaggio), e il generoso Wilkye, un giovane americano, spregiudicato, sicuro di potersi meglio destreggiare, lui con due fidati compagni, spostandosi su un velocipede costruito alluopo, non appena si arriverà dove i ghiacci, ispessendosi e serrandosi luno allaltro, renderanno proibitivo il transito a qualsivoglia imbarcazione. Destini votati quindi a separarsi - accade alla metà esatta della narrazione -, quelli di Linderman e di Wilkye. Coronato da successo, Wilkye; sconfitto, anzi distrutto come la sua nave, sino a impazzirne, il rivale.
In questa edizione, lintroduzione di Sergio Giuntini documenta le passioni sportive di Salgari, il ruolo che ebbe nella Verona del secondo Ottocento in più di unorganizzazione legata alla scherma, alla ginnastica, al pugilato e soprattutto al «velocipedismo». Nei ripetuti azzardi di quella neonata specialità non cè nulla di paragonabile allardire di Wilkye, che una delle illustrazioni del pittore Bruno raffigura mentre pianta la sua bandierina a stelle e strisce sopra un monticello di ghiaccio.
Però, nel 1895, in sincronia colluscita del romanzo salgariano, un milanese ventenne, Raffaele Gatti, raggiungeva sulle due ruote il Polo Artico.
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