Cultura e Spettacoli

Quando il Führer era una barzelletta

Grande ritorno, nelle librerie italiane, dell’umorista inglese che sapeva scherzare anche sulla guerra e sui campi d’internamento nazisti. Ricevendo l’ostracismo dei «buoni»...

Viste le reazioni del Paese alla vicenda Grass, si direbbe che la Germania non abbia ancora trovato un equilibrio sufficiente per affrontare il periodo nazista. Ed ecco un libro che cerca di rompere ancora qualche tabù. Lo Spiegel ne prevede l’uscita per settembre, editore Eichborn Berlin, titolo Heil Hitler, è morto il porco! ovvero Ridere sotto Hitler. Comicità e umorismo nel Terzo Reich.
L’autore, il regista e sceneggiatore Rudolph Herzog, discende dai caustici lombi di Werner e precisa che con questo libro non vuol far ridere nessuno, ma esaminare il nazismo da una nuova prospettiva: «Le barzellette non erano una forma di resistenza attiva, ma sfogo della pubblica indignazione. Forniscono una visione del regime autentica, inarrivabile persino dai libri di storia». Il volume, che si basa sulla letteratura del tempo, diari e interviste, giunge ad una sconfortante conclusione: le barzellette circolanti all’epoca dimostrano che il Paese non era posseduto dagli spiriti del male né ipnotizzato dalla propaganda, ma ben conscio delle brutalità messe in atto dal regime.
Il distacco dal passato procede e l’inaudito accade: nel 2004 il film La caduta, che mostrò un volto umano di Hitler. Quest’anno, l’allestimento di gonfaloni con svastiche a Berlino, per girare le sequenze della parodia cinematografica Mein Führer, la prima mai girata in Germania. Il libro di Herzog darà un altro sfiato alla valvola della memoria tedesca, raccontando dopo sessant’anni barzellette come questa, per le quali allora si rischiava di venir fucilati per disfattismo: «Mio padre è nell’SA, mio fratello maggiore nelle SS, il minore nella HJ, mia madre fa parte nell’NS femminile e io nella BDM». «E riuscite mai a vedervi?» chiede l’amico alla ragazza. «Oh, sì! Ci incontriamo una volta l’anno alla parata di Norimberga!».

Chissà se Günter Grass la sa già.

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