Quando Falcone e Borsellino si pagavano un mese all’Asinara

Giommaria Monti, Falcone e Borsellino. La calunnia, il tradimento, la tragedia, Editori Riuniti 1996, pagg. 232, lire 6500. Pag. 92: «Csm, 31 luglio 1988. Comitato antimafia – Prima commissione referente. Audizione di Paolo Borsellino: “Dal gennaio al novembre del 1985, tanto per fare un esempio, non credo di essere uscito se non per 4-5 ore al giorno (e per giorno intendo le 24 ore) dalla mia stanza senza finestre nel bunker. O meglio ne uscii, perché dopo l’omicidio del commissario Cassarà fummo chiamati, io e Falcone, dal questore di Palermo dell’epoca il quale ci disse che lo stesso giorno dovevamo essere segregati in un’isola deserta assieme alle nostre famiglie, perché se questa ordinanza non la facevamo noi, se ci avvessero ammazzati, non la faceva nessuno, perché nessuno era in grado di metterci mano. Siccome io protestai, dicendo che questa decisione non doveva essere attuata immediatamente, perché Falcone è senza figli, ma io avevo famiglia e dovevo regolarmi le mie faccende, mi fu risposto in malo modo che i miei doveri erano verso lo Stato e non verso la mia famiglia. Sta di fatto che riuscii a ottenere 24 ore di proroga, ma dopo 24 ore scaricarono me, Falcone e rispettive famiglie in quest’isola.

Tra parentesi – io non amo dirlo, ma lo devo dire – tutta questa vicenda ha provocato una grave malattia a mia figlia, l’anoressia psicogena, e mi scese sotto i 30 chili. Siamo stati buttati all’Asinara a lavorare per un mese e alla fine ci hanno presentato il conto, ho ancora la ricevuta”».

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