Quando i privati si rimboccano le maniche e si sostituiscono allo Stato

E se la ricetta per far ripartire l’economia si nascondesse nella sussidiarietà? Ovvero nella capacità dei cittadini di mettersi insieme e rispondere ai bisogni della vita comune? L’Italia è piena di queste risorse, iniziative «dal basso», opere, aggregazioni sociali che diventano una ricchezza per tutti. Tanto più in un momento di profonda crisi come questo. Ma occorre che le istituzioni, dagli enti locali alle organizzazioni centrali, anziché pretendere di sostituirsi ad esse, le aiutino e le sostengano. È vero, prima ci sono da mettere a posto le casse dello Stato. C’è da ripianare il debito pubblico, da pareggiare i conti con le economie dell’Europa centrale. E ci stiamo disponendo, obtorto collo, a sopportare sacrifici inediti per le nostre generazioni.
Invece sono le idee per rilanciare il sistema a scarseggiare. Non basta aprire i portafogli dei ceti medi, rompere il salvadanaio delle famiglie, coccolare le banche e predicare sobrietà per riaccendere il motore dell’economia. Anzi, come ammoniscono alcuni osservatori, aumentando le tasse c’è il rischio opposto, che produzione e consumi si deprimano. A lungo abbiamo avuto la tendenza d’ignorare la crisi. Ora, di fronte agli ultimatum europei e alla manovra di Monti, l’atteggiamento prevalente è la rassegnazione. Subiamo la crisi, recriminando con tonalità diverse. Scendendo in piazza, incrociando le braccia, rivendicando diritti, protestando in diretta tv.
Esistono invece persone che si sono rimesse in azione senza aspettare che altri - sempre altri - risolvano i problemi. E che, non potendo cambiare tutto subito, si sono rimboccate per prime le maniche. È da qui che può iniziare la fase due, non certo dalle alchimie della finanza o dagli aggiustamenti dei tassi d’interesse. Alla tradizionale «Cena di Santa Lucia» a Padova erano presenti milleduecento persone, imprenditori, artigiani, operatori sociali, volontari, docenti universitari, politici e amministratori locali bipartisan (dall’ex ministro Galan al sindaco di Venezia Giorgio Orsoni a quello di Verona Flavio Tosi). Scorrevano le immagini delle opere sostenute all’estero e in Italia con la Fondazione Avsi e il Banco Alimentare. Asili, scuole, ospedali, università, interventi nelle situazioni di emergenza provocate da eventi naturali. Con particolare attenzione all’educazione dei giovani, perché «formare loro significa costruire un futuro per la società». Man mano che sfilavano le testimonianze si delineava un modo alternativo di pensare e costruire il bene comune. Il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini l’ha spiegato così: «È finita l’illusione secondo la quale soddisfacendo gli egoismi individuali si garantisce automaticamente il benessere di tutti. Ancor prima era declinata l’idea che lo Stato Leviatano avrebbe risolto anche i problemi dei poveri. La gratuità non è un gesto buonista per mettersi la coscienza a posto mentre gli affari vanno per conto loro. Ma è il dono di sé, l’impegno con la realtà che abbiamo attorno.

La gratuità è in grado di creare valore aggiunto, di creare ricchezza». Alle istituzioni spetta solo il compito di favorire questa creatività sociale e privata.
Se fosse questa la strada giusta per riavviare la crescita?

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