Quando l’arte è gioco ironico delle apparenze

Nei disegni e nelle installazioni un continuo rimando alla centralità del luogo espositivo

Sabrina Vedovotto

Letteralmente una mise en scene quella presentata da Andrea Aquilanti presso il teatro India. Prodotta da The Gallery Apart, una delle realtà private più interessanti nel campo dell’arte contemporanea, la mostra già nel titolo, Teatro, evidenzia la propria singolarità. Aquilanti ha lavorato realizzando opere site specific, ma rimanendo, come è tipico del suo lavoro, quasi in disparte. Per niente invasivo, ha voluto semplicemente aggiungere qualcosa in più allo spazio architettonico preesistente. Come infatti sostiene anche lui nell’intervista presente nel catalogo, realizzata da Alessandra Maria Sette, curatrice anche della mostra, il luogo si prestava già naturalmente. «non forzo mai, al contrario mi adeguo, quasi potrei dire che mi adagio su quello che trovo».
In questo caso ciò che ha trovato altro non sono state che tre arcate di una delle due stanze utilizzate. Ma non ha compiuto uno stravolgimento, piuttosto ha creato una immagine diversa. In queste arcate infatti l’artista ha disegnato l’immagine esatta di ciò che è dietro, riproducendola poi attraverso una video proiezione. Come fossero enormi fessure dalle quali poter vedere cosa appare dietro. Ma non solo cosa appare ma addirittura cosa succede; perché nella zona retrostante Aquilanti ha posizionato due telecamere che riprendono ogni piccolo movimento e lo riportano poi sugli schermi che altro non sono che i disegni stessi. Un gioco tra reale e iperreale. I movimenti sono flebili, quasi assenti. E si percepiscono appena, tanto da sembrare un secondo piano prospettico. Tutto ciò avviene solo nelle due arcate laterali però, mentre in quella al centro c’è solo il disegno.
Nella stanza attigua altri lavori pittorici, ancora disegni, bozzetti preparatori, a raccontare momenti di vita privata, luoghi prospicenti, come per esempio il gazometro, o altri edifici fatiscenti sempre nei pressi. Una curiosità, tutti i dipinti, realizzati a matita o con tecnica mista, hanno sempre come titolo la parola «teatro». L’unica cosa che cambia è la sequenza numerica, a sottolineare il vero intento di realizzare un unico corpus.
Durante la serata inaugurale ancora un evento particolare. Un testo scritto appositamente per l’occasione da Marco Lodoli, recitato da Filippo Timi.

Che in realtà simula semplicemente la lettura del testo, che invece viene fatto ascoltare tramite registrazione. L’attore invece, mentre nella sala si sente la sua voce, si sovrappone alla sua stessa voce fischiettando motivi popolari e brani di Bach. Di nuovo il gioco tra il reale l’iperreale. Proprio come succede a teatro.

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