Quando l’«esperto» ci complica la vita

Caro Granzotto, in banca mi hanno proposto di firmare molti fogli di un «Questionario per la profiliazione del cliente». Ho chiesto il motivo per cui un istituto finanziario si interessasse dei problemi della riproduzione della specie da parte dei suoi clienti o a favore («pro») dei rapporti tra padri e figli dei medesimi («filiazione»: vedi Zingarelli). Ho scoperto che volevano tracciare un «profilo» del cliente in vista di eventuali investimenti...


Un fantasma s’aggira per l’Europa: l’esperto. L’esperto in scienze di. Gli è, caro Ruffini, che d’un botto è stato deciso che l’umanità è composta da imbecilli che non sanno fare niente e che se fanno, sbagliano. I genitori non sanno fare i genitori e dunque solo per miracolo, per accidente, abbiamo tirato avanti per diverse migliaia di anni crescendo figli che hanno cresciuto figli e così via. Per fortuna oggi c’è l’esperto in scienze pedagogiche che spiega a mamme e papà come comportarsi nel caso al pupo scappi la pipì. I vedovi o le vedove non sanno «elaborare» il lutto. L’esperto in scienze sociali spiega come si fa. E la pace? Chi la sa fare, la pace? Nessuno. Ma grazie a Dio le università sfornano esperti in «scienza della Pace», proprio così, scienza, che sulla pace sanno tutto.
Il fuori onda tra Barack Obama e David Cameron ha portato poi alla ribalta gli esperti del pensiero. Dato che nessuno sa come si pensa e quindi nessuno ha mai pensato, loro ti dicono come procedere (luoghi deputati al pensare sono doccia, latrina e materasso). Nessuno sa mangiare, sa cosa gli piace e cosa no, cosa gli si piazza sullo stomaco e cosa digerisce in un fiat, cosa è dolce e cosa è salato. Fino a ieri. Oggi l’Università del Gusto diploma fior di esperti che sanno che una cosa è il fritto di cervella e un’altra il brodino vegetale.
Ma il più invadente e pernicioso degli esperti è, caro Ruffini, l’esperto in scienza - e risottolineo scienza - della comunicazione. L’ennesima americanata che parte dal consueto presupposto: nessuno, nemmeno Platone o Giulio Cesare, gli Evangelisti o Marx, ha mai saputo trasmettere il proprio pensiero o la propria volontà, se non in maniera sbagliata o incompleta. L’arte del dire, del comunicare, appunto, non sarebbe roba per autodidatti, affinata dall’esperienza, dalla pratica, da buone letture e da solida cultura. Ma per specialisti a conoscenza di formule, cifrari, schemi e canoni che, applicati, trasformerebbero i balbettii in comunicazione coi controfiocchi. Glie ne enumero qualcuno? Densità testuale, ambiti esperienziali di riferimento, interfrasali semanticamente poveri, monoreferenzialità dei termini, trasformazione dei sintagmi verbali in sintagmi nominali, socializzazione dei sottocodici, predisposizione della reportistica... Bischerate sesquipedali, fregnacciume a piene mani, eppure preso per oro colato da migliaia di gonzi che si affidano all’esperto in scienza delle comunicazioni. E il risultato è quel «Questionario per la profiliazione» nel quale lei è incappato, caro Ruffini. È la definizione di strisce pedonali che compare nel manuale dell’Arma dei carabinieri: «Esso espleta la funzione di un marciapiede stradale, in mancanza di esso». È quanto si legge nel comunicato sul trasporto urbano del Comune di Bologna (devo la citazione ad Angelo Panebianco): «La nuova linea attraversa la città con una nuova attitudine, ottenendo una relazione speciale che deve diventare una nuova forma simbolica».

E la fermata del bus? «Una tipologia abitativa temporanea perché le persone la usano godendo non solo del servizio, ma leggono il giornale, dialogano, incontrano, conoscono». Neanche in Totò, Peppino e la... malafemmina.

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