Era il novembre di due anni fa quando anche Genova venne coinvolta in una maxi inchiesta sul terrorismo internazionale partita da Firenze. Tramite i call center venivano raccolti e inviati soldi alla finanziaria «Al Barakaat», che secondo gli inquirenti era collegata allo sceicco del terrore, Osama Bin Laden. Per i cittadini somali residenti in Italia, lunico modo di far arrivare soldi in patria era proprio quello di spedirli alla finanziaria tramite i call center. Ma le indagini avevano portato alla convinzione che una consistente parte del denaro venisse trattenuto per il servizio reso e «usato» per finanziare azioni terroristiche.
In molte città, tra cui Roma, Milano e la stessa Firenze erano stati trovati riscontri alle ipotesi degli inquirenti. E anche a Genova vennero eseguite perquisizioni tra immigrati somali e allinterno di alcuni call center. In più si tornò a parlare di un architetto palestinese già coinvolto in uninchiesta della procura di Genova. Secondo unintercettazione, luomo, che opera in unassociazione umanitaria che effettivamente raccoglie fondi, venne contattato da un islamico che voleva offrirsi anche per azioni terroristiche. «Sono pronto a tutto», avrebbe detto nel colloquio, prima di essere però respinto dal professionista.
Proprio la sua attività umanitaria aveva messo nei guai larchitetto, difeso dallavvocato Gianfranco Pagano. Il palestinese, indagato perché sospettato che il denaro raccolto servisse a finanziare attività illegali, aveva però voluto chiarire pubblicamente la sua posizione. Quei soldi li aveva sempre raccolti tra i connazionali, ma la sua associazione di «Solidarietà per il popolo palestinese» aveva ben altri scopi. Intendeva infatti, secondo le parole del suo stesso coordinatore genovese, far arrivare in patria denaro da devolvere alle vedove e agli orfani.
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