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Quando l'avvocato Antonio Di Pietro scippò la difesa della bella Katharina

Nel 2000 "rubò" la ballerina polacca al suo legale. L’Ordine: comportamento deontologicamente scorretto. Due lotti per la Tonino immobiliare

Quando l'avvocato Antonio Di Pietro 
scippò la difesa della bella Katharina

di Paolo Bracalini e Gian Marco Chiocci

C’era una volta una ballerina bellissima, un avvocato serio e un altro avvocato. La prima si chiama Katharina Miroslawa, il secondo Mario Secondo Ugolini, il terzo Antonio Di Pietro. Il caso della Miroslawa, condannata nel 2000 per l’assassinio dell’industriale Carlo Mazza (a 21 anni di carcere, che sta ancora scontando alla Giudecca), occupò per anni le pagine dei giornali. Ma c’è un paragrafo meno noto di quella lunga vicenda processuale, ricordato nel libro Il Tribuno. E riguarda appunto Antonio Di Pietro, a quel tempo non più magistrato ma parlamentare europeo in cerca di visibilità, fondatore del neonato Idv, ma anche avvocato (gli ex magistrati vengono iscritti automaticamente all’albo degli avvocati).
Siamo nel 2000, la Miroslawa è stata già condannata, l’ultima speranza per la difesa, rappresentata dal noto penalista modenese Mario Secondo Ugolini, consiste nella cosiddetta istanza di revisione, ammissibile solo in presenza di un elemento di novità. Ugolini sente di avere l’asso nella manica, carte importanti pronte da usare per l’udienza fissata da lì a poco. Ma il 14 febbraio succede un colpo di scena. Alla Miroslawa (e per conoscenza al suo legale) arriva un fax. Mittente: l’eurodeputato Antonio Di Pietro. Il fax ha l’intestazione dello studio legale Antonio Di Pietro, sede a Busto Arsizio. In breve, Di Pietro si offre come difensore della Miroslawa, presentandosi come il grande magistrato di Mani pulite, il fondatore dell’Idv, insomma una personalità influente in grado di dare una svolta al processo. La Miroslawa, convinta dai titoli che Di Pietro esibisce, accetta l’offerta e «scarica» il suo legale, che l’aveva seguita fin dal primo grado di giudizio. «Mi aveva rubato Katharina - racconta amaramente l’avvocato Ugolini al Giornale -. Lessi e rilessi quel fax, non credevo ai miei occhi. Lei poi mi spiegò perché si fece convincere: sai, mi disse, in mezzo a tante disgrazie ho avuto la fortuna di un così importante personaggio che si è interessato dei miei guai».
A quel punto Ugolini, scippato del processo a cui aveva dato anni della sua vita, fa ricorso all’Ordine degli avvocati. «Scrissi di getto e spedii, dicendo che se avessero ritenuto normale quel comportamento avrei passato il resto della mia carriera a rubare clienti negli altri studi». Ugolini parla a fatica, oggi ha 70 anni ed è molto malato. «Saranno stati gli accidenti che mi ha tirato Di Pietro... ». Perché il ricorso di Ugolini viene accolto: l’avvocato Di Pietro viene processato per violazione delle regole professionali e condannato (il 15 gennaio 2001) con una «censura», per comportamento deontologicamente scorretto.
Una brutta macchia nel curriculum di un legale, tanto più se l’avvocato è anche ex magistrato e leader del partito dei valori. «Fu condannato con parole dure - ricorda Ugolini -. Perché non solo non si presentò mai, ma tenne una linea difensiva folle che fece indispettire non poco il Consiglio». Di Pietro infatti aveva fatto ricorso (contro l’esposto di Ugolini) all’Ordine di Brescia, che però non c’entrava nulla e che quindi emise una risoluzione di non competenza. Ebbene, «Di Pietro utilizzò questa risoluzione come fosse una sentenza, cioè per sostenere che non poteva essere processato due volte per lo stesso fatto. Ma era un trucco e l’Ordine rimarcò la scorrettezza nel condannarlo».
Non solo, nel difendersi Tonino accusò Ugolini di tramare una congiura politica contro di lui. «Il Consiglio gli fece notare che io non mi sono mai interessato di politica, non ho mai militato in nessun partito». Buco nell’acqua e condanna. Ma non è finita. Anche il Consiglio regionale dell’Emilia Romagna approvò un documento che condannava il «grave comportamento politico e professionale» dell’ex pm. Ma non è ancora l’ultima. Perché cosa fece poi Di Pietro da difensore della Miroslawa? «Presentò due ricorsi sballati, fece un flop completo».
Insomma un episodio da dimenticare per l’avvocato Tonino.

Come l’altro, che gli ha procurato la sospensione per tre mesi dall’Albo, perché era passato da difensore ad accusatore di Pasqualino Cianci, condannato in primo grado per uxoricidio. Un comportamento - ha sostenuto il Consiglio nazionale forense - che viola «i doveri di lealtà, correttezza e di fedeltà» per l’assistito. Tra l’altro, un suo amico d’infanzia.

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