Nel suo denso saggio, Diritto, economia e forse giustizia. Da Pindaro a Amartya Sen (Edizioni Scientifiche Italiane, pagg. 176, euro 20), Enrico Zanelli riflette, in unottica liberale, sui modi in cui le dinamiche sociali ed economiche del nostro tempo hanno influenzato il campo del diritto, delletica pubblica, della filosofia politica. È un lavoro intellettuale di anni che si converte, nelle ultime pagine del libro, in un impegno etico-politico ormai fuori moda. «Il punto cui riferirsi per una rifondazione della convivenza civile -scrive Zanelli- è sempre quello di partenza, dei diritti individuali che certo non sono disconosciuti in linea di principio ma sono ormai affievoliti nella coscienza di tutti e di ciascuno ed in ultima analisi obliterati e inghiottiti nel vortice della vita sociale e delle sue esigenze» spesso recepite dalla Costituzione ma, soprattutto, divenute senso comune in una cultura politica segnata più da Antonio Gramsci che da Luigi Einaudi.
Le lezioni del giurista mettono a nudo le incongruenze e le contraddizioni di una pratica del diritto e di uno stile politico sempre più lontani dalluniverso liberale. Zanelli non condivide la tesi di Bastiat per cui lo «Stato è la grande finzione sociale attraverso la quale ciascuno si sforza a vivere a spese di tutti gli altri» ma pone problemi cruciali sulla natura dellintervento pubblico, che non si possono più eludere: sulla funzione delle cooperative oggi, sulle onlus, sui «falsi servizi pubblici», sulla politica del panem et circenses riedita con le notti bianche, sui generosi sostegni statali che, in nome della necessità, piovono su enti e istituzioni che soddisfano solo una minoranza di cittadini ma i cui deficit di bilancio gravano su tutti.
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