Quando la luce si fa spazio i giochi al neon di Morellet

Allo Studio Invernizzi le «sculture» filiformi dell’artista francese

Quando la luce si fa spazio  i giochi al neon di Morellet

Marta Bravi

La galleria A arte Studio Invernizzi ospita per la seconda volta una personale dell’artista François Morellet, che presenta una serie di opere recenti in cui la scansione dello spazio secondo dinamiche della visione, tipiche del suo approccio teorico, è coniugata alla libertà immaginativa. Sei le installazioni in mostra, ( «Cross crash», «Décrochage», «Strip-teasing», «Lamentable», «Twin strip-teasing», «Strip-teasing»), sculture di luce create con tubi di neon bianchi o colorati, a tagliare l’uniformità delle pareti candide della galleria.
Morellet è stato uno dei primi artisti ad utilizzare il neon, nel 1963, di cui apprezza soprattutto l’intensità luminosa e la fabbricazione impersonale, elementi che gli permettono di giocare e sperimentare secondo declinazioni sempre nuove. Dunque il filiforme tubo di neon, che viene annodato, attaccato alle pareti o al soffitto, nella sua unidimensionalità, almeno apparente, acquisisce grazie alla luce una seconda dimensione. La luce si trasforma in spazio per scolpisce il vuoto asettico delle stanze. Gli orientamenti reciproci delle diverse parti dei tubi sono regolati secondo misure e angoli matematici, riconoscibili in una dimensione complessiva di relativa instabilità. Il gioco illusionistico delle geometrie apparenti desta un’attenzione sopita dall’atmosfera «neutra e silente» delle pareti o delle tele bianche. Lo spostamento ottico e fisico sposta la sguardo sulla potenzialità percettiva: i materiali impiegati si equivalgono e le forme assumono un’autonomia totale da essi, lo sfasamento costituisce la duplicazione dell’immagine nella sua stessa realtà che si riconosce fisica. L’illusionismo scoperto, e annullato in questa sua assoluta evidenza, diviene esplicito travestimento. Nel ’97 per la mostra «Noendneon», ospitata proprio alla galleria Invernizzi, Morellet scriveva: «Inutile aspettarsi che una parte della struttura possa proliferare da sé in uno spazio qualsiasi. Innanzitutto è necessario considerare uno spazio ben chiuso e vuoto e non uno spazio aperto; poi sarà necessario ripopolare questo spazio, ad intervalli regolari, con frammenti di una struttura.

Quindi considerati luogo e spettatore, la struttura potrà proliferare prima nello spazio strutturato e poi, inesorabilmente, in tutto l’universo». Fenomeno che si ripete ancora una volta, in galleria fino al 15 febbraio (via Scarlatti 12, lunedì-venerdì, 10-13 e 15-19).

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