MilanoUn brindisi alla cacciata di Berlusconi e alla vittoria di Prodi. Cè anche questo nel curriculum di Raimondo Mesiano, il giudice che ha messo ko la Fininvest stabilendo un risarcimento record di 750 milioni di euro per la Cir di Carlo De Benedetti. Nellaprile 2006 Mesiano ha già fra le mani quel delicatissimo fascicolo: la causa civile sul Lodo Mondadori, un capitolo infuocato di storia italiana. Ma il magistrato, che proprio tre giorni fa è stato promosso dal Csm per «lequilibro dimostrato», non ha paura di tifare in pubblico per il centrosinistra, come un militante della curva girotondina, anche se lui è giudice a Milano ed è il giudice di Berlusconi.
Non importa. Del resto lendorsement per Prodi si ripeterà qualche settimana dopo al Cuoco di bordo, meta meneghina dei cultori del pesce fresco. La vittoria di primavera è arrivata per unincollatura, ventiseimila voti in più per Prodi alla Camera, dopo unestenuante altalena di dati. Il clima al quartier generale dellUlivo è di euforia; Berlusconi ha sfiorato la rimonta impossibile, ma non ce lha fatta. È battuto, anche se per un soffio. E Raimondo Mesiano esulta come un ultrà, un ultrà in toga. Allora di pranzo raggiunge il Ristorante self service Battisti a due passi dal Palazzo di giustizia. Il locale è suo rifugio abituale per lo spuntino quotidiano, fra una causa e laltra. «È entrato gridando abbiamo vinto, abbiamo vinto - racconta Claudio, dipendente Fininvest, altro frequentatore assiduo del ristorante che oggi ha cambiato gestione e nome - mi ricordo che lho osservato sbalordito e mi sono rivolto al mio amico Osvaldo dicendogli: ma guarda questo giudice».
Claudio si abbandona ai suoi pensieri, ma il breve show del magistrato va avanti: «Ha cominciato a stringere le mani dei presenti, un gruppetto di avvocati, pure arrivati in via Battisti per rifocillarsi, poi ha aggiunto: dobbiamo festeggiare, brindiamo».
Detto fatto, dopo qualche secondo il tappo di una bottiglia di spumante vola verso il soffitto, i calici, cinque a quanto pare, si alzano, i quattro avvocati e il giudice brindano alle fortune del governo Prodi. Che però non avrà una gran fortuna e morirà dopo un paio danni di vita stentata.
Ma in quel momento Mesiano è soddisfatto. Ed esternerà la sua allegria qualche settimana dopo nel corso di una cena a base di pesce Al cuoco di bordo, in via Gluck. È lepisodio che il Giornale ha raccontato ieri: «Berlusconi dovrebbe dimettersi, Berlusconi dovrebbe andarsene», queste le parole scandite dal magistrato fra un piatto di cozze e uno di seppie. Un giovane avvocato, un legale che frequenta la decima sezione del tribunale e percorre i lunghi corridoi del Palazzo di giustizia, si ritrova seduto per caso al tavolo di fianco, ascolta e pensa più o meno le stesse cose che ha pensato qualche tempo prima Claudio.
I due però non conoscono il dettaglio più importante di questa storia: Mesiano è anche il titolare di una causa spinosissima, quella promossa nel 2004 dalla Cir contro il Biscione per la compravendita della sentenza sulla Mondadori. La causa, civile, è stata affidata al giudice Domenico Piombo ma alludienza del 26 settembre 2005 Piombo ha lasciato il posto a Raimondo Mesiano. Che però, da via Battisti alla via Gluck immortalata da Adriano Celentano, non nasconde simpatie, antipatie e preferenze politiche.
Può essere considerato imparziale nellatto di giudicare i guai di Berlusconi un giudice che brinda alla sconfitta del Cavaliere ed entra in un ristorante frequentato dagli avvocati inneggiando alla vittoria di Prodi? Si dirà, naturalmente, che il lavoro del magistrato devessere valutato nel merito, nei suoi ragionamenti, nei suoi passaggi logici, nelle conclusioni cui arriva. È vero, ma è altrettanto innegabile che per la giustizia anche la forma è importante e le forme dovrebbero segnalare che il giudice è indipendente, imparziale, neutrale, terzo come si dice in linguaggio giuridico.
Può essere considerato terzo Mesiano? Al Csm che lha appena promosso lodando «impegno, laboriosità, equilibrio» e altro ancora, sono convinti di sì. Claudio e lavvocato si sono fatti unaltra idea: «Ricordo bene - ha spiegato il legale al Giornale - che più parlava e più mi dicevo: ma allora le toghe rosse esistono davvero».
Questioni di forma, dunque. E di opportunità. Claudio e lavvocato hanno ripensato a quei brindisi e a quelle parole infiammate tre anni dopo, quando Mesiano, sulla scia del processo penale chiuso con la condanna del giudice Vittorio Metta e dellavvocato Cesare Previti, ha dato ragione alla Cir ma, soprattutto, ha stabilito un risarcimento record, senza precedenti: 750 milioni di euro. Quasi una manovra finanziaria.
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