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Quando la moto di Ruffo faceva sognare in bianco e nero

Ci sono ricordi in bianconero che diventano a colori se raccontati da chi ti ama. Ecco, il libro Cuore e asfalto, e tutte le iniziative organizzate per celebrare i 60 anni dalla conquista del primo titolo mondiale 250 di un pilota italiano, portano appresso le tinte forti dell’amore e della passione di un figlio verso il padre.
Renzo Ruffo, veronese, classe 1951, è il figlio; Bruno Ruffo, veronese, classe 250, campione del mondo nel 1949 con la Guzzi, e poi nel 1950 in 125 con la Mondial, e ancora la stagione dopo in 250, è il padre. «Il mio progetto - racconta Renzo - è nato per onorare papà (scomparso nel 2007). È un progetto in tre parti: domani in sala stampa al Mugello, in occasione del Gp d’Italia, consegnerò personalmente il Trofeo Bruno Ruffo a Marco Simoncelli che come mio padre è campione del mondo 250. Poi, in giugno, uscirà il libro, e in autunno, a Verona, donerò una scultura».
I ricordi in bianconero sono i più caldi e belli, ma sono anche quelli che ai giorni nostri rischiano di non essere pienamente apprezzati. Non così per Ruffo, almeno a giudicare dai nomi importanti, a cominciare da Simoncelli, Valentino Rossi, Loris Capirossi e Giacomo Agostini che hanno voluto, chi con una dedica e chi con la prefazione, partecipare al libro. «Vincere non è mai stato facile e mai lo sarà - scrive infatti Marco Simoncelli nella presentazione - ... Bruno Ruffo, 60 anni fa, ancora giovane come me, vinceva il primo titolo iridato» e vinceva - racconta - «nella stessa classe della 250» e sempre 60 anni fa «il 2 luglio 1949, tagliava il traguardo del Gp di Svizzera vincendo in sella alla sua moto senza carena che portava lo stesso numero con cui, io, oggi, ho carenato la mia moto: il 58...».
Corse e ricorsi storici di una vita avventurosa che in Cuore e asfalto sono stati raccolti in modo assolutamente originale e capace di dare colore al bianconero. «Sì, perché sono le fotografie a raccontare - spiega Renzo Ruffo - , perché a fianco di ogni immagine ho dato voce a mio padre, facendolo parlare in prima persona, svelando ai lettori memorie e aneddoti... Quegli stessi che raccontava a noi ragazzi, o a mia madre, ricordando quei momenti... Ho cercato di dare al libro emozioni e poesia. Forse anche per questo ho scelto come sottotitolo “Opera funambolica con due ruote su un filo di poesia”...». Quanto all’oggi, al presente, ai piloti che sfrecciano sulle piste di questi anni, «a volte - conclude Ruffo - mi chiedono chi, dei campioni di oggi, assomigli a mio padre. E allora penso a Loris Capirossi. Perché sono molto simili per la serietà di vita, per l’approccio alle corse, perché Loris è coraggioso, umano e sereno quanto freddo ed esigente in pista. Proprio come papà».

In bianconero e a colori, ieri come oggi, certi campioni si riconoscono al volo.

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