Quando Piano fu attaccato per il «suo» Porto Antico

Troppe volte a Genova viene fuori una linea ottusa e conservatrice che vorrebbe mantenere tutto com’è

Quando Piano fu attaccato per il «suo» Porto Antico

(...) riconquistare il loro mare». Non tutti lo capirono subito, ma quel concetto di potersi riavvicinare al mare cominciò poco per volta a essere assimilato dai genovesi. Fino a quel momento nessuno aveva pensato più di tanto ad una riconquista del proprio mare: ci si accontentava di vederlo attraverso la cinta doganale e si considerava la situazione come ineluttabile. Era così e basta!
Conobbi l’architetto nello studio dell’allora sindaco Romano Merlo quando i cronisti vennero invitati a visionare quei disegni che trasformavano banchine dimenticate in un’area ludica unica nel suo genere: acquario, centro congressi, musei, bar, ristoranti, ascensore panoramico. Sembrava fantascienza.
E infatti ci fu qualcuno che colse l’occasione di criticare Piano accusandolo di aver presentato il suo progetto solo con l’intento di guadagnarci sopra, di voler rovinare le vestigia storiche del porto (quali?) e così via. Il fatto era che in quel periodo una nutrita corrente di tromboni, trasversale a tutti i partiti, predicava l’assoluta intangibilità di tutto ciò che fosse vecchio, se non antico. Soltanto il pensiero di mettere mano al centro storico, per esempio, suscitava le indignate reazioni dei «conservatori» più beceri. Una categoria, questa, che andava dai democristiani ai comunisti, senza distinzione. Ovviamente nessuno si poneva il problema di mantenere in efficienza strutture che meritavano di essere preservate, e quindi investendoci sopra. No, l’importante era non toccare niente affinché tutto restasse così com’è. Esattamente come sta succedendo adesso con il progetto del Waterfront.
Renzo Piano osò andare contro questa diffusissima mentalità che nell’ultimo mezzo secolo ha portato Genova a un passo dalla rovina. E basta fare un salto nel Porto Antico per rendersi conto di che cosa significhi innovare mantenendo le caratteristiche proprie di una città.
Forse, allora, sarebbe il caso di apprezzare di più un professionista come Renzo Piano. Basterebbe citare le sue maggiori opere nel mondo per capire quale genio dell’architettura, figlio di Genova, stia vivendo adesso in mezzo a noi. Oppure si crede che chiunque possa ricevere la Legion d’Onore in Francia (1985), la Medaglia d’Oro per l’Architettura in Inghilterra (1989) e il prestigioso Premio Pritzker, il Nobel dell’Architettura che nel ’98 gli venne consegnato alla Casa Bianca dal presidente Clinton?
Nessuno è profeta in patria, sarà anche vero. Ma Renzo Piano è andato ben oltre gli angusti confini della provincia genovese.

E mi viene in mente cosa scrisse di lui una volta un collega di Famiglia Cristiana. «Renzo Piano - disse - è uno di quegli uomini che quando all’estero presenti il passaporto ti fa sentire orgoglioso di essere italiano». Noi genovesi dovremmo esserlo ancora di più.

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