Quando «quelli scarsi» ci mandarono a casa

Claudio De Carli

Questo è un lavoro sporco, ma qualcuno lo deve pur fare.
«Il nostro segreto? Pareggiare prima che i nostri avversari vadano in vantaggio», confidò un mattino Danny Blanchflower che si era fatto un’idea del calcio molto personale, ma non per questo era un calciatore di serie B.
Lui faceva il capitano e giocava con il fratello James nell’Irlanda del Nord che ci tolse il pensiero dei Mondiali del ’58 in Svezia. Danny fece mettere in ordine il prato del Windsor Park di Belfast per mercoledì 15 gennaio alle due e un quarto e si fece trovare pronto e ripulito con altri dieci amici ad aspettare gli azzurri con i loro oriundi. Chi vinceva andava al mondiale, cose grosse. Nell’aprile del ’57 i nordirlandesi avevano perso 1-0 a Roma con un gol di Cervato preso dopo tre minuti, poi resistettero per gli altri 87 ma non lasciarono grandi fremiti fra i nostri capoccia: si va e si vince. Ci sono Ghiggia, Schiaffino, Montuori e Da Costa, ma segnano McIlory e Cush, e dopo neanche mezz’ora di gioco la scelta del ritiro svedese per il mondiale è una preoccupazione in meno. L’Irlanda era considerata una nazionale inesistente, anche se poi Danny Blanchflowers nel mondiale del ’58 finirà addirittura nella formazione ideale del torneo con Djalma Santos, Liedholm, Garrincha e Pelè.
Nel ’30 l’Italia non andò in Uruguay per scelta, delle diciotto edizioni di Coppa del Mondo, l’edizione del ’58 fu l’unica a cui l’Italia non partecipò, eliminata dall’Irlanda del Nord ancora prima di arrivare in Svezia.
Adesso ci aspettano canguri e struzzi, ma non facciamo troppa ironia, non sarebbe la prima volta che gli azzurri ci lasciano per strada contro nazionali che abbiamo presentato come a rischio salvezza nel campionato di serie B. Anche se la nostra abilità a trovare le attenuanti è sempre stata da veri campioni del mondo.
Per anni abbiamo raccontato ai nostri bambini che Pak do Ik faceva il dentista, forse come contrappasso al dolore che il suo nome evoca, invece faceva l’insegnante di educazione fisica e la sua Corea del Nord che ci buttò fuori in Inghilterra nel ’66 venne osteggiata in un modo vergognoso, altro che gli azzurri in Cile. Era stato il nostro alibi migliore per spiegare i gol di Ramirez e Toro che ci rispedirono sul piroscafo. Non era stato il Cile a eliminarci, ma il clima che il regime militare aveva creato attorno alla nostra squadra. Quattro anni dopo i coreani al confronto saranno trattati dagli inglesi da invasori. Ufficialmente la Corea del Nord non esisteva ed era praticamente ancora in guerra con l’Inghilterra. Prima tentarono di non farla sbarcare, poi decisero che fosse almeno vietato il loro inno nazionale. Venne ordinato che gli inni sarebbero stati suonati solo nella partita di apertura e poi in quella di finale, sperando che nel frattempo la delegazione coreana avesse ormai fatto ritorno a casa. Invece a casa tornarono gli azzurri, ma qualcuno disse che nell’intervallo i coreani avevano cambiato undici uomini su undici: sono tutti uguali, e chi se ne era accorto?.
Dal mondiale svedese a quello inglese i sedici anni più tristi, passando dal mitico Hugi II, lo svizzero che con una doppietta al San Jacob di Basilea ci rispedì al di là delle Alpi nel ’54.


Irlanda del Nord, Cile, Svizzera e le due Coree, giusto per non essere di parte. Quattro anni fa è il sudista Ahn a rifarci lo shampoo, e noi a prendercela con Moreno. Adesso gira la voce che il cammino fino alla semifinale sia tutto in discesa. Grazie per la gufata.

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