Quando la Rca spese miliardi per avere Elvis

Il colonnello Parker, ex venditore ambulante e picaresca figura che costruì l’impero di Elvis, nel 1973, a corto di soldi, vendette l’intero catalogo della star incassando 6 milioni di dollari più altri 500mila verdoni l’anno per dieci anni come acconto sui diritti d’autore. Una storia antica, figlia di un’epoca chiusa, quella in cui avventurosi talent scout-manager scoprivano talenti che le case discografiche si contendevano a suon di miliardi. Brian Epstein che guidava i Beatles alla Apple, gli spregiudicati Chris Stamp (fratello dell’attore Terence Stamp) e Kit Lambert che lanciarono gli Who, Elliot Roberts che, all’insegna del «facendo le mosse giuste si può diventare miliardari», curò gli Eagles, Crosby Stills Nash e Young, Joni Mitchell e poi fondò la Asylum Records. Finiti i tempi in cui imprenditori come Ahmet Ertegun (l’uomo cui i Led Zeppelin hanno dedicato il concerto della storica reunion) che col colosso Atlantic lanciò tutti i più grandi, da Ray Charles agli stessi Zeppelin. Era un fenomeno trasversale in cui la black music ha avuto un ruolo determinante; il marchio di alcune etichette si identificava con il loro stile musicale, come la Motown Records di Berry Gordy, specializzata in suoni r’n’b e soul, che ha fatto da balia ai nuovi suoni «neri» di Stevie Wonder, Marin Gaye, Diana Ross, dei Jackson 5 del pivellino Michael Jackson.

Eran tempi in cui si organizzavano feste faraoniche per lanciare gli artisti; ancora nell’81, per festeggiare il nuovo disco di Deborah Harry, l’etichetta preparò una festa faraonica dove gli ospiti arrivarono a bordo di carri armati. Oggi si risparmia anche sulle interviste.

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