Quando «Repubblica» si indignava per il Molleggiato anti nuclearista

Sta a vedere che hanno trovato il papa nero. Da quelle parti lo stanno cercando con battute di caccia furibonde. Montezemolo, la Marcegaglia, Mario Monti, magari si prestasse almeno il Trap. Ma fino a poco tempo fa, niente. Tutti uguali, i papi neri: prima lasciano intendere che, poi si defilano proprio mentre i cacciatori di teste cominciano a farci la bocca. In un clima di sconcerto e smarrimento, già stava riemergendo l’idea di una risistemata in carrozzeria dei Veltroni e dei D’Alema, sempre che Prodi all’ultimo momento...
Poi, all’improvviso, i referendum. Una faccenda affrontata con una certa stanchezza, per dovere d’ufficio, se non altro per blandire i movimenti scamiciati e però dilaganti del grillismo, del vendolismo, del dipietrismo, polmoni meccanici che tengono in vita il corpaccione esausto della nomenklatura. In un crescendo inarrestabile, ecco giganteggiare sull’intera area l’ombra lunga del nuovo guru: Adriano Celentano, già ragazzo ambientalista della via Gluck, già re degli ignoranti.
Uscito dai suoi cicli letargici, zio Adry sta bombardando a tappeto la platea. Dopo l’intemerata da Santoro, la prima pagina del Fatto quotidiano. L’appello al voto antinucleare ha i toni adeguati alla buona considerazione di sé: «Ragazzi, è questione di vita o di morte». Segue sintetica lenzuolata che spazia da Berlusconi a Veronesi, dalla bellezza alla fusione fredda. Più parla, più scrive, più ha spazio. Basta che alzi il telefono e sono tutti in contemplazione. Gli intravedono persino facoltà da veggente, comunque taumaturgiche: «Aveva previsto la vittoria di Pisapia» (mica l’unico, sa?).
Sinceramente: vedendo mezzo arco costituzionale in estasi davanti a Celentano, come minimo si avverte una struggente malinconia per Beppe Grillo, che comunque la si pensi resta decisamente il padre naturale della via referendaria, almeno nel ramo ambientalista. Niente: al vecchio Beppe viene riservato il trattamento che Valcareggi riservò a Rivera nella finale di Messico ’70, una bella panchina a una manciata di minuti a margine. Ma a Rivera, almeno, fu preferito Mazzola. Grillo è nell’angolo per Celentano: via, non c’è paragone.
La scelta comunque è fatta, indietro non si torna. Il testimonial per questo nuovo trionfo (su chi, su cosa, visto che voteranno allo stesso modo anche tanti di centrodestra?), il Braveheart referendario è il Molleggiato. Eletto per acclamazione, non c’è neppure bisogno di primarie.
Però: come cambiano le idee, le simpatie, i miti, i papi neri. Sembra ieri, era il 7 novembre 1987, anche allora vigilia di referendum. Pure quella volta, nella sua trasmissione del sabato, l’anacoreta dei 24mila baci ci aveva dato dentro con gli appelli referendari, calpestando pure la regola del silenzio alla vigilia. Allora però non ne uscì da papa nero: Repubblica lo fece nero e basta. Solo alcuni passi di un commento atomico: «Celentano ha passato il segno... Come il protagonista di Quinto Potere, parla a ruota libera mescolando Dio e politica, Stato e partiti, difesa degli animali e pubblicità di detersivi, miserie del Terzo mondo e caccole di miliardari. Sull’efficacia di questo stile e sull’opportunità di trasmissioni del genere, lasciamo che ciascuno giudichi con la propria testa e ne tragga le dovute conseguenze. Ma qui non è in gioco Celentano, il suo modo qualunquistico e dozzinale di avvicinarsi alla politica. È l’indirizzo della trasmissione approvato dai dirigenti Rai ad ingenerare il dubbio che ormai alla tivù tutto possa accadere. Se l’ente televisivo pensa che lo scandalo del sabato sera possa portarlo in vetta agli indici di ascolto, ha scelto una strada sbagliata. Altro che cultura nazional-popolare. Di questo passo anche Cicciolina diventerà inevitabile...».

Sono passati quasi 25 anni, chi l’avrebbe detto: Celentano e il celentanismo, adesso, dettano l’agenda dell’intera area. Qualunque cosa faccia o dica, va benissimo. È la stagionalità della politica. E chi ci dice che un giorno non torni buona pure l’«inevitabile Cicciolina».

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