Quando la sperimentazione si fa canone

Maurizio Pollini propone i «Quattro pezzi» di Alban Berg, Stockhausen, il Liszt «moderno», Wagner e Pierre Boulez

Pietro Acquafredda

Maurizio Pollini non è nuovo a programmi impegnativi, come quello che ha predisposto per il concerto romano di questa sera all’Auditorium. Impegnativi non solo per il pianista e sotto il profilo tecnico-stilistico, ma anche per il pubblico che pur di ascoltare il nostro grande interprete, ogni volta si sottomette alla via crucis del difficile ascolto della musica contemporanea. E Pollini non è solo in questa impresa; come lui fanno anche Abbado e Boulez. Al punto che, per non venir meno all’impegno di far conoscere e promuovere la musica del nostro tempo - un debito morale per ogni interprete - i tre sono disposti a snaturare alcuni brani. E accaduto ad Abbado lo scorso ottobre, ancora a Roma. Proponendo la Suite da Prometeo di Luigi Nono - opera nata per una piccola chiesa sconsacrata veneziana e per essere eseguita in una raccolta “arca” di legno costruita da Renzo Piano - ha rischiato di far perdere al pubblico devoto (devoto di Abbado e un po’ meno di Luigi Nono) il gusto ed il senso di quelle esilissime trame che nella sala grande dell’Auditorium era quasi impossibile cogliere. Pollini fa ancora di più. Per il suo concerto ha invitato un clarinettista, naturalmente il meglio su piazza, Alain Damiens, al quale cede totalmente la ribalta per un brano di Pierre Boulez che egli stesso tenne a battesimo all’Ircam di Parigi: Dialogue de l’ombre double, per clarinetto e nastro magnetico, per la cui esecuzione è stato predisposto un impianto di amplificazione che diffonderà sotto le “vele” di ciliegio della mastodontica sala Santa Cecilia dell’Auditorium, la musica preregistrata su nastro. Assieme a Pollini, invece, eseguirà i Quattro pezzi di Alban Berg, per clarinetto e pianoforte, enigmatici nella loro inquietante laconicità, oggetto di acutissime analisi, come quella di Boulez che vi scopre «abbozzi di racconti che possiamo leggere nel Diario di Kafka... e ci lasciano sospettare un seguito non espresso oltre la scrittura reale, chiusa».
Si riprende, invece, interamente la ribalta per i due Klavierstucke (il Settimo e il Nono) di Karheinz Stockhausen, brani entrati ormai a far parte della letteratura «storica» del pianoforte, sebbene scritti soltanto negli anni Cinquanta; e per i brani di Liszt che sottolineano ancora una volta l’interesse di Pollini per la musica del passato ma aperta al nuovo, alla sperimentazione, quali sono quelli scritti negli ultimi anni, come epilogo di una vita e nel segno del rinnovamento linguistico (Nuvole grigie - Disastro - La lugubre gondola -. Richard Wagner, Venezia).

E, per terminare, la Sonata in si minore, opera di vasta architettura, senza divisione in movimenti, che Wagner, anche in ragione del suo flusso continuo, mai interrotto, amò particolarmente.
Auditorium, Sala Santa Cecilia. Questa sera alle 21. Maurizio Pollini pianoforte, Alain Damiens clarinetto. Biglietti da 14 a 26 Euro. Informazioni: 06.8082058.

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