Quando la strade è assassina: le vie che portano all'inferno

Dalla Yungas Highway amazzone con il record di incidenti mortali al percorso di guerra tra Baghdad e il suo aeroporto dove si sono consumate decine di stragi. Ci sono vie di città e di periferia che è meglio non percorrere mai. Perchè l'appuntamento con la morte è fisso

Quando la strade è assassina: 
le vie che portano all'inferno

Don Timoteo arriva tutte la mattine all'alba, all'angolo della curva del Diablo, per sfidare i suoi incubi. Una ventina d'anni fa mancò poco che l'ammazzasse quel mostro, sulla Carrettera de la muerte, era seduto sul rimorchio di un camion di banane, una curva a gomito lo gettò giù nel burrone, trecento metri di sotto, per un anno non riuscì a riconoscere nemmeno se stesso, ma se la cavò e ogni giorno, da dieci anni, viene qui a guardare in faccia la morte perché, dice, è Gesù che l'ha mandato in quest'angolo di inferno a salvare le vite degli altri. Impugna due armi micidiali che nessuno ha mai visto quassù, una paletta verde e una rossa. Dirige il traffico, senza nessun mandato se non quello di Cristo, pagato dalle mance dei camionisti se avanza qualcosa, cioè quasi mai. L'unico semaforo sulla Yungas Highway, la strada più pericolosa del mondo, costruita dai prigionieri di guerra paraguaiani nel 1930 tra la Paz e Coroico e diventata il più gigantesco cimitero a cielo aperto del pianeta. Non ci sono scorciatoie né alternative, se vuoi andare in Amazzonia devi passare per forza di qui.

Arrivano da ogni angolo del Sudamerica, ogni giorno e ogni notte, migliaia di camion, autobus, carrette, gipponi, si arrampicano nell'aria come salmoni sulle cascate, su questo stradone con le ruote sempre sul filo del rasoio, in equilibrio precario su strapiombi profondi mille metri e piazzole di attesa che si sbriciolano sugli abissi. Su ogni curva una lapide, un fiore, una croce, là sotto persone impossibili persino da recuperare, migliaia di morti che nessuno conta più. Ogni due settimane un camion, un bus, un veicolo finisce là dentro. Puoi pregare solo di morire di crepacuore, perché vedi tutto prima di piombare nel buio.

Yungas Highway, ai confini della realtà, ma non è l'unica strada assassina che può portarti dritto all'inferno. C'è un'altra via che corre a perdifiato dal check point dell'aeroporto al centro di Bagdad, tre quarti d'ora al massimo, se ce la fai ad arrivare. La chiamano Qadisiyah Expressway, non ci sono alternative e nessuno, nemmeno i militari, possono proteggere la tua vita. Più che una strada è un percorso di guerra dilaniato da crateri fumanti sull'asfalto, carcasse di jeep carbonizzate, auto in fiamme. Si è combattuto ogni giorno su ogni centimetro di questi 15 chilometri che tagliano il triangolo della morte, sopra ogni tetto potrebbe esserci un cecchino, dietro ogni casa potrebbe nascondersi una banda di tagliagole, ogni auto che incroci potrebbe essere l'ultima che vedi, specie se c'è un sorriso cattivo stampato dietro al parabrezza. Dicono che ci si salva osservando tre comandamenti: stare lontani dagli ingorghi, viaggiare veloci ed evitare convogli militari. Gli inglesi hanno preferito prendere una scorciatoia: attraversano la Qadisiyah Expressway in elicottero. E crepi solo l'avarizia.

Ma anche il cuore delle città può avere vie che sanguinano. Jaffa Street batte nel petto della Gerusalemme nuova, è ricca di negozi, ristoranti, centri commerciali. E di croci. Una ogni venti metri. Perché se i kamikaze palestinesi decidono di immolarsi per la guerra santa lo fanno qui, in tutti i modi possibili. Chi sparando direttamente sulla folla incollata con il naso alle vetrine, chi facendosi esplodere a caso per strada, spargendo brandelli di vite duecento metri lontano. La morte è entrata vestita da ebreo ortodosso sull'autobus 14 che passa tra i quartieri di Bet Hakemer e Talpiot o da ragazzino allo Sbarro, la pizzeria fast food più affollata della città. Persino una donna, la prima kamikaze, Wafa Idris, ha scelto Jaffa street per immolare la sua vita, davanti all'insegna d'un cambiavalute.
Ci sono strade insospettabili che si trasformano in trappole micidiali come Oxford Street la strada dello shopping londinese, luccicante di lusinghe e di lame di coltelli nascoste sotto il cappotto. Qui si consumano 258 crimini violenti l'anno, cinque ogni settimana, stupri, rapine, omicidi, preferibilmente nel tardo pomeriggio, nessuna strada è così violenta in tutto il Regno Unito, Scotland Yard ha persino imposto il coprifuoco alla via dopo le 21 ai minori di 16 anni, i più indifesi, ma anche, a volte, i più pericolosi. O la 42ª strada, New York city, la via dei teatri e della cultura, dove avviene un crimine violento ogni quattro ore, specie all'incrocio tra la Settima e l'Ottava, ripulita fino all'osso dal sindaco Giuliani, ma mai guarita dall'infezione delle street gang. In ogni angolo del mondo c'è una strada che uccide, ognuna con il proprio metodo e le proprie preferenze. In Spagna l'autostrada della morte è la N340, che corre da Malaga a Marbella, attraversando le città di Torremolinos e Fuengirola, strada a due corsie, limite 110, centinaia di morti, preferibilmente turisti. O l'Ip5 portoghese, che collega il Paese al resto d'Europa, difficilissima da percorrere, in bilico sul mare, decine di punti di sorpasso taglienti come falci che seminano 400 vittime l'anno. Vittime preferite: gli automobilisti. Simile ma diversa dalla A537 tra Buxton nel Derbyshire e Macclesfield nel Cheshire, 303 incidenti, tutti mortali. E ama far strage soprattutto di ciclisti. Al contrario della Pennsylvania Turnpike, tra Philadelphia a Pittsburgh, che, sangue su sangue, elimina con le lusinghe della velocità e del vento sul viso motociclisti di tutte le cilindrate.

Sulle vie della morte c'è però anche chi corre al riparo.

La Cina ha completato da qualche anno un traforo lungo la provincia di Sichuan, sulla strada principale che porta in Tibet, 470 milioni di yuan, più o meno 60 milioni di dollari per sostituire con un tunnel il tratto più omicida dell'Asia. Perché su certe strade il buio fa meno paura della luce.

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