Quando la Tradizione diventa fede

Quando la Tradizione diventa fede

Alessandro Massobrio

Sulla copertina, una scena di vita toscana del XVII secolo con i volontari della Misericordia intenti a trasportare appestati al più vicino lazzaretto. Sul retro un gruppetto di bambini delle elementari di tanti anni fa - probabilmente gli anni Cinquanta tanto cari all’autore - in processione dietro un grande crocefisso che quasi occupa per intero lo spazio dell’obiettivo. Il tutto - appestati e scolaretti - in un bel color seppia. All’interno, una dedica importante: a Sigismondo d’Asburgo Lorena, per grazia di Dio, Granduca di Toscana.
Insomma, prima ancora di cominciare la lettura di queste memorie, Pucci Cipriani ci ragguaglia su se stesso e sulle proprie idee, un po' come i grandi signori di una volta che inviavano per paesi e campagne messi ed araldi ad annunciare alla gente del posto chi stesse per sopraggiungere in carrozza. Un metodo nobile ed antico grazie al quale è possibile evitare confusioni o scambi di persona. Cosa che Pucci Cipriani detesta sommamente perché niente gli è più indigesto di essere scambiato per quello che non è. Ed egli è, in primo luogo, un uomo della Tradizione, da scriversi sempre e rigorosamente in maiuscolo, un cattolico fedele ai propri principi, un uomo che ha attraversato tante tempeste senza mai accettare l’interessata ospitalità di qualche porto. In poche parole, Pucci Cipriani è un conservatore ma non un reazionario. Non uno di quegli acritici difensori del tempo che fu, che il popolino burlava, chiamandoli parrucconi o codini, ma - come scrive Enrico Nistri nella introduzione - un nostalgico «degli aspetti più belli del passato», di cui rimpiange «quella douceur de vivre che si perde sempre con ogni rivoluzione».
Il fatto più strano poi è che - più o meno coetanei, più o meno legati ai medesimi ambienti - le nostre vite si siano svolte quasi sempre parallelamente, salvo a tratti intrecciarsi od annodarsi intorno a qualcuno o qualcosa e poi riprendere - ciascuna nel suo rigoroso parallelismo - la propria strada. Uno di questi nodi obbligati è costituito, ad esempio, da quel Don Sergio Fabiocchi, di cui Cipriani parla a lungo in queste sue memorie. Lui lo conobbe giovane sacerdote, io ancor più giovane intellettuale di quell’Msi che all’epoca, i primi anni Settanta, viveva segregato in un ghetto di odio ed incomprensione. Tutti e due poi, ma sempre separatamente, lo abbiamo ritrovato sul letto di morte, colpito, nel fiore degli anni, da una malattia inesorabile e tutti e due, infine, attendiamo che prima o poi quell'intenso profumo di santità che proveniva già dai suoi resti terreni venga fruito, grazie ad un processo canonico, dall'intera comunità dei fedeli.
Nodi, intrecci, persone ma anche epoche. Ad esempio, i favolosi anni Cinquanta, quando al timone dell'Azione Cattolica c’era Luigi Gedda ed a quella della navicella di Pietro Papa Pacelli. Cipriani ne parla con un tono tra lirico e malinconico come se rievocasse quel medioevo di cavalieri e crociate a lui tanto caro. A quel tempo, i comunisti erano comunisti ed i cattolici cattolici come Peppone e Don Camillo. Nemici giurati, certo, ma senza nessun pericolo di quella sorta di innesto contro natura che è il cattocomunismo, prodotto di un concilio come Vaticano II, che per Pucci Cipriani è all’origine di ogni male della nostra società.
Non a caso egli aderì al movimento di Econe di Marcel Lefèbvre, non senza mantenere contatti con la gerarchia attraverso il cardinale Siri e quel gruppo di cattolici tradizionalisti genovesi - primo tra tutti Piero Vassallo - che lo avvicinarono al mondo del giusnaturalismo cattolico spagnolo e di Elias de Tejada.
Sono anch’io tra coloro che, grazie all’insegnamento di Piero - come tutti quelli della mia generazione chiamano Vassallo - hanno conosciuto l’autentico spirito della dottrina monarchica nata dalla tradizione ispanica. Un condensato di decentramento amministrativo di base e di unità di governo di vertice, attraverso cui si esplica l’antico principio cattolico della sussidiarietà. Qualcosa di molto diverso, insomma, rispetto all’idea liberal - patriottarda che con i Savoia si è fatta strada nella coscienza collettiva di noi italiani. Pucci Cipriani, comunque, come non pochi di noi, non ha permesso che i molti insuccessi e le rare vittorie avessero il potere di trasformarlo in un Sancio Panza da quell’ardimentoso Don Chisciotte che professa di essere.

Nella militanza di partito così come in quella giornalistica, non ha mai abbassato le sue bandiere. Che sono poi vexilla Christi regis, quei vessilli di Cristo re sotto cui militare gloriamur ci vantiamo di combattere.
Pucci Cipriani, L’altra Toscana. Diario di un conservatore, Controrivoluzione 2005, pag. 335.

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