Cronache

Quanta gente vuol far vivere la sua Eluana

Seguo come tanti, quanto riguarda i cosiddetto caso Eluana Englaro. Ognuno dice la sua e mi ritorna alla mente un proverbio che il pastore sardo era solito dire dinanzi a situazioni del genere Chentu concas, chentu berrittas (Cento teste, cento berretti).
Purtroppo persone che vivono la tragedia della sfortunata Eluana penso ve ne siano altre, direi tante, con il corpo immobilizzato, nessun movimento, non parlano, non deglutiscono, respirano con delle macchine a cui sono attaccati con dei tubi piccoli o grandi che siano.
I parenti di queste persone, ripeto sfortunate, non mi pare che si comportino come gli Englaro, a cui senza alcun dubbio vanno rispettati per il dolore che stanno vivendo, ma non mi pare che a loro diano fastidio. Mi pare che ogni famiglia che vive una tragedia come questa la vive, la rispetta senza accanimento. Rispettano il diritto dei loro cari alla «vita» il loro diritto di ricevere cure e amore, nella loro tragedia. E queste persone non hanno mai pensato di staccare la spina, di fermare le macchine o quanto possa tenerli in vita. Tutto questo perché per loro, il loro caro «esiste» è «vivo».
Quante testimonianze vi sono in merito. Essi vanno incontro ai loro cari che soffrono con quanto è necessario per tenerli in vita, dagli infermieri, ai fisioterapisti, al materiale che serve per la necessità. Fanno di tutto perché continuino a vivere.
Certo anche questo ha un costo e al riguardo non mi pare che chi vive queste tragedie sia lasciato solo. Sono aiutati dalle strutture sanitarie o quanto ad esse collegato perché possano sopportare quanto la vita di negativo ha dato loro. E queste persone non dimostrano alcun fastidio, non si rivolgono a nessuna autorità perché il loro caro cessi di vivere, non cercano alcun luogo dove lo stesso debba finire i giorni della sua vita. Le stesse sono solite dire che non si deve pensare di risolvere tutto con «la legge» ma bisognerebbe riflettere di più su questa realtà. Se si stacca la spina non c’è sentenza che possa farti fuggire dall’angoscia. Perché alla domanda: ma la persona, il malato, lo voleva davvero? La sofferenza rimane con tutto il peso. Ho letto sul vostro quotidiano le parole della signora Maria Pia Bonanate. Parole che fanno riflettere anche se lei ha nella sua abitazione il marito nelle condizioni della Eluana Englaro, non ha fastidio. La Eluana è curata ed è assistita da altri, non capisco perché il genitore della stessa vuole che la sua parente «non viva». È questo il non capire di tanta gente. Anche se tanti tirano in ballo anche lo «Stato laico» in cui viviamo. Dinanzi alla vita non vi sono parole, comunque essa sia.
Dicendo questo penso ai miei due nipoti Roberto e Giovannella affetti da anemia mediterranea o morbo di Cooley. Sottoposti nella loro breve vita, per vivere, a trasfusioni di sangue ogni otto/dieci giorni. Trasfusioni che ad un certo momento non sono più servite perché hanno cessato di vivere.

E nella loro breve esistenza non ho mai visto mio fratello, mia cognata, tutti noi parenti lamentarsi o lamentarci, né rinunciare a quanto la scienza medica offriva, nel loro peregrinare nei vari centri di Genova, Olbia, Sassari, Cagliari, dove vi era una speranza, senza fastidio.
*maresciallo
ispiratore dei Racconti di Mario Soldati

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