È tradizione che quando parlano i governatori delle banche centrali vi sia un coro di elogi. A Bruxelles come a Roma. È altrettanto noto che nelle grandi democrazie gli organi di informazione fanno le pulci ai discorsi dei governatori delle banche centrali per scrutare gli orientamenti futuri della politica monetaria ma anche per correggere errori o prudenze di chi governa o concorre al governo della moneta. Qualche giorno fa allannuale convegno del Forex (operatori e tesorieri delle banche) Mario Draghi ha tenuto un discorso pieno di verità antiche e di silenzi, di coraggio e di dimenticanze. Riproporre la crescita come priorità assoluta per leconomia italiana è un atto coraggioso e lungimirante oltre che fedele ad una vecchia impostazione della Banca dItalia.
Avremmo gradito che quei toni usati laltro giorno a Torino Draghi li avesse usati anche nellottobre scorso davanti alle Commissioni bilancio di Camera e Senato allavvio della discussione sulla legge finanziaria. Forse avrebbe convinto governo e maggioranza a non fare errori come laumento sproporzionato delle tasse che penalizzerà la crescita italiana che da dieci anni è inferiore di oltre mezzo punto a quella media dei Paesi della zona euro. Oggi giustamente si critica laumento della pressione fiscale, ma a babbo morto dimenticando che in economia ogni cosa ha il suo tempo. Ma cè di più. Dinanzi alle catastrofiche previsioni di Tommaso Padoa-Schioppa nella scorsa estate, la Banca dItalia in ottobre avrebbe potuto e dovuto avvertire il Parlamento che i conti pubblici del 2006 sarebbero stati di gran lunga migliori per il boom delle entrate che si stava registrando. Se Draghi non lo ha fatto è perché probabilmente lui stesso non era stato informato.
E ci colpisce anche il suo silenzio sul fatto che anche questanno lItalia crescerà molto meno dei Paesi della zona euro e meno di quanto sia cresciuta nel 2006. Inoltre è coraggiosa la sua denuncia sul basso tasso di occupazione nella fascia di età tra 55 e 64 anni (appena il 31 per cento, 10 punti in meno della media dei Paesi europei). Preoccupa, però, il suo silenzio sullannunciata eliminazione del cosiddetto scalone che finalmente aumenta letà pensionabile di tre anni. Draghi ha ancora ragione quando ricorda che alla fine degli anni Novanta Belgio e Italia avevano lo stesso debito (il 114 per cento del Pil) mentre oggi il Belgio è sceso ben al di sotto del 100 per cento. Draghi dimentica, però, che alla fine del 91 (epoca della firma dei trattati di Maastricht e della definitiva eliminazione della scala mobile) il debito belga era di oltre 25 punti superiore a quello italiano. Tutto ciò per dire che negli anni Novanta il debito italiano saliva mentre quello belga scendeva perché diverso era il rispettivo tasso di crescita annuale.
Se nel 1999 entrammo nelleuro lo dovemmo solo al calo internazionale dei tassi di interesse e alla svendita del grande patrimonio pubblico, senza che lallora governo Prodi (direttore del Tesoro lo stesso Draghi) toccasse i nodi strutturali della spesa e più ancora quelli della crescita. A cominciare dalla produttività che dal 1995 in poi è crollata perdendo un punto lanno rispetto agli altri Paesi europei. Se, infine, è coraggiosa la sua denuncia sui maggiori costi dei nostri servizi bancari, ci preoccupa il suo silenzio dinanzi alla riconferma alla guida di alcune banche di personalità autorevoli incappate in condanne per reati finanziari. Un silenzio che mal si concilia con la riaffermata inflessibilità della vigilanza della nostra Banca centrale.
Se insieme alle luci indichiamo anche qualche ombra nel discorso di Draghi è perché temiamo una sorta di ossequio istituzionale nei riguardi di una maggioranza e di un governo che stanno legiferando sui nuovi poteri della Banca dItalia nel mentre rischiano di perdere loccasione per rilanciare crescita e competitività.
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