Cinema

"Quante balle ho detto per Il Gattopardo. Non sapevo che stava nascendo un capolavoro"

Il primo press agent del cinema italiano ricorda la lavorazione del celebre film uscito 60 anni fa

"Quante balle ho detto per Il Gattopardo. Non sapevo che stava nascendo un capolavoro"

Roma. La storia si fa anche con le bugie. Anzi: talvolta sono proprio le bugie a diventare storia. Così la storia de Il Gattopardo, di cui si celebrano i sessant'anni (il 27 marzo del 1963 la prima, al cinema Barberini di Roma) è fatta anche delle stupefacenti bugie create, per lanciarlo, da Enrico Lucherini: primo press agent del cinema italiano, tra gli ultimi testimoni di quel set leggendario, modellatore impareggiabile del suo mito.

Lucherini, in tutte le storie del cinema è scritto che il perfezionismo di Visconti pretese, per il celebre ballo del Gattopardo, lampadari con centinaia e centinaia di candele autentiche...

«Che però al calore dei proiettori si scioglievano, facendo piovere cera sugli attori, e obbligando a interrompere le riprese ogni mezzora, per tirarle giù e cambiarle tutte. Falso. Me l'inventai io, per far parlare i giornali. Solo le candele in primo piano erano vere. Le altre erano tutte elettriche. Ovviamente».

E la lavanderia appositamente montata fuori dal set solo per lavare i guanti bianchi dei ballerini...

«Ed evitare che apparissero ombreggiati dal sudore? Un'altra mia balla. Anche questa riferita per decenni, in tutti i libri. Ma le cineprese non sarebbero mai riuscite a riprendere il sudore su quei guanti!».

Non mi dirà che anche i fiori che Visconti pretendeva arrivassero ogni giorno in aereo da Sanremo...

«Erano un'invenzione, ovvio. Fiori belli se ne trovavano anche a Palermo. Perfezionista va bene; maniaco no. Certo: problemi a volte Luchino ne creava. In una panoramica sui tetti di Donnafugata voleva che si vedesse il fumo uscire dai camini. Ma era estate, i proprietari delle case erano in vacanza. Bisognò cercarli uno a uno, convincerli a rientrare, accendere i camini. Li trovarono tutti, tranne uno. E Visconti, al momento di girare la panoramica, Alt! - gridò - Perché da quel camino non esce fumo?».

Tanta meticolosità mirava anche a stimolare negli attori il massimo dell'immedesimazione.

«In una scena Burt Lancaster, Principe di Salina, doveva aprire un cassetto. Dentro trovò biancheria d'epoca, accuratamente piegata. Ma la inquadri, tutta questa roba?, chiese all'operatore. No. E allora che ci sta a fare?. Perché è roba tua - rispose Luchino - questa è la tua casa, il tuo mondo: ci devi recitare come se ci vivessi. Così fece anche mettere autentica (e costosa) acqua di colonia nel flacone con cui in una scena Lancaster si profumava, perché devi sentirti un vero principe, anche mentre ti profumi».

Eppure all'inizio i rapporti con il suo protagonista non furono idilliaci...

«Luchino non lo voleva. Può fare il cowboy, non il principe. Pensava a un siciliano, Turi Ferro, o al grande Laurence Olivier. Anche Lancaster all'inizio diffidava. L'impasse fu superato dal produttore Lombardo. A Burt scrisse Luchino è pazzo di te, e a Luchino Burt ti adora!. Quando i due s'incontrarono io stavo con l'orecchio alla porta: Oh Dio: ora salta tutto!. Poi, al momento del celebre valzer, Lancaster si presenta con il ginocchio gonfio. Non può ballare. Apriti cielo! Quando si conobbero meglio divennero amici per sempre».

Com'era Visconti sul set del Gattopardo?

«Terribile. Anche cattivo, se necessario. Esigeva silenzio assoluto e faceva sfuriate epiche. Una volta, in teatro, usò anche una frusta. Una frusta vera. Trattò malissimo anche me, quando attraversai la scena delle barricate di Palermo: Via Lucherini dal set! urlò nel microfono, davanti a mille comparse. Altezzoso? Solo se era concentrato; in realtà non voleva che lo chiamassero conte. E lavorare con lui era esaltante, mai banale. A fine riprese, poi, faceva regali a tutta la troupe. Regali alla Luchino: principeschi. A me donò un portasigarette d'oro di Bulgari, con inciso Il Gattopardo. Non l'ho più: me l'ha rubato una cameriera».

E fuori dal set?

«Alloggiava in un castello appositamente restaurato, dove invitava i suoi preferiti a cena. Ogni giorno alle 18 tutti a chiederci: A chi lo dirà?. Un invito di Luchino! Meglio che a corte. Io c'ero sempre, perché lo divertivo. La Cardinale, invece... Tanto cara, tanto bella, ma tutt'altro che brillante. Oddio: non che si parlasse dei massimi sistemi. Metti un disco di Mina!. Luchino adorava Mina. A me chiedeva i pettegolezzi dagli altri set, anche per distrarsi dal suo. Solo di Sophia Loren non voleva sapere: Ah Enri', ma che me frega?. Pativa il confronto tra lei e Claudia, ancora troppo acerba per competere con il talento della Loren».

E Delon? Che tipo di attore era?

«Disciplinatissimo. Sapeva la fortuna incalcolabile che gli era capitata, e la sfruttava. Non volle alloggiare al castello, però: Con Luchino sto già tutto il giorno; anche la notte no. Visconti ne era gelosissimo: c'erano ragazze che lo raggiungevano da Roma, e allora erano litigi furiosi. Non ho mai capito come la povera Romy Schneider, fidanzata di Alain, non se ne accorgesse. Anche lei voleva raggiungerlo, e allora lui: No, non venire: mi distrarresti. Devo concentrarmi, devo pensare al personaggio...».

E intanto mieteva vittime in tutta la troupe...

«Alberto Sordi, che alloggiava nel nostro stesso albergo mentre girava Mafioso con Lattuada, ebbe la dabbenaggine di presentargli la sua partner, nel film e nella vita, la brasiliana Norma Bengell. Risultato: li beccò entrambi nella camera di lei. La costumista Edda Lancetti, che dormiva nella mia camera, rientrando una notte dalla stanza di Delon si sbagliò, e invece che in camera nostra entrò in quella di Paolo Stoppa, si spogliò nuda e s'infilò nel suo letto. Tutto l'albergo fu svegliato dalle urla di Stoppa: Chi è?! Chi è?!».

Com'era la Cardinale?

«Parlava poco, ripeteva le parole di Franco Cristaldi, il produttore di cui era la protetta. Però fu bravissima a dividersi fra il set del Gattopardo e quello di 8½. Recitava in entrambi i film, e Visconti e Fellini, che si odiavano, se la contendevano a forza assurdi puntigli: Luchino la voleva con i capelli neri, Federico castani. Così lei ogni volta doveva cambiare tinta. Fu per un ritardo nelle riprese del Gattopardo che Claudia non fece la celebre passerella finale di 8½. Chissà se Fellini gliel'ha mai perdonata, a Luchino!».

Lei è stato testimone di questa leggendaria e decennale rivalità Visconti-Fellini.

«Si detestavano. Senza mezzi termini. Un giorno eravamo nella mia macchina, io e Luchino. Passiamo davanti a Canova, il bar di piazza del Popolo a Roma, e Visconti riconosce Fellini, seduto a uno dei tavolini. Chiudi il finestrino, per carità! - esclama - se Federico mi vede mi sputa!». Quando con Luchino vedemmo La strada, all'apparizione di Giulietta Masina truccata e con il tamburo, Luchino sbottò: Ma pare Macario!».

Mentre lavoravate al Gattopardo vi rendevate conto che prendevate parte un capolavoro?

«No.

Eravamo troppo occupati a evitare le sfuriate di Luchino».

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