Quante ingiustizie nell’Italia rovesciata

Sono in Moldavia e vedo cose remote e di un mondo perduto. Dall’Italia mi giungono informazioni frammentarie e, per alcuni versi, inquietanti. Bertolaso ha progressivamente perduto l’aura del salvatore della patria. Ha liberato Napoli dai rifiuti ed è stato travolto prima da una grottesca inchiesta poi da una inarrestabile sequenza di calunnie. Come braccio operativo di Berlusconi in entrambe le situazioni ha pagato lo scotto di avere oggettivamente portato vantaggio d’immagine e d’impresa al governo. Fatico a capire quali siano le sue responsabilità, tanto chiare a Bersani; ma vedo che la sua immagine perde smalto e che, addirittura, i meriti diventano colpe.
Così la Protezione civile rischia di essere considerata un’associazione a delinquere e per avvalorare questa aberrante interpretazione un magistrato attribuisce la responsabilità del terremoto a quelli che dovevano valutarne i sintomi e prevenirlo. Così, con stupore, leggo che ricercatori, studiosi ed esperti che io ho sempre ammirato come Franco Barberi ed Enzo Boschi, sono stati incriminati con la grottesca imputazione di non avere allarmato la popolazione dell’Aquila e fornito gli elementi decisivi per farla sfollare. Così insigni studiosi, e con loro l’operoso Bertolaso, avrebbero compiuto una grave omissione non giustificabile con l’ignoranza ma per inspiegabile fatalismo o sadismo. Anche i bambini sanno che non si possono prevedere i terremoti; eppure, secondo l’accusa, avendo inoppugnabili segnali i competenti avevano preferito ignorarli, minimizzando il rischio ed esponendo la popolazione alle evitabili conseguenze. Dunque Barberi e Boschi criminali e assassini?
La clamorosa notizia può essere letta in parallelo a un’altra nella quale troviamo singolari affinità. Un altro commissario, il colonnello Mario Mori, e un’altra catastrofe: la mafia. Da mesi, controvoglia, abbiamo dovuto prendere atto che il colonnello Mori, pur catturando Riina, non ha combattuto la mafia, ma l’ha favorita. È faticoso da credere ma andando avanti così, a forza di indagini giudiziarie, Mori diventerà il principale sostenitore di Riina e Provenzano. Li ha arrestati per favorirli: una strategia perfetta. D’altra parte anni fa mi toccò di verificare il paradosso per il quale il generale Conforti, del Nucleo tutela patrimonio artistico dei carabinieri, fu arrestato per avere recuperato la mandibola delle reliquie di Sant’Antonio nel reliquiario conservato nel tesoro della basilica di Padova, e il ladro mafioso Felice Maniero detto Faccia d’angelo che lo aveva rubato era a piede libero. Paradossi dell’ingiustizia e dell’Italia rovesciata.
Adesso tocca a Mori. Dopo anni di indagine l’accusa è «concorso esterno». So di cosa si tratta, l’ho avuta anch’io dopo essermi candidato in Calabria. Per otto mesi sono rimasto appeso al delirio di giudici che volevano vedermi mafioso e che sono stati sconfessati dall’archiviazione imposta da Pierluigi Vigna. Ricordo ancora i nomi di alcuni: un tale indisponente Tocci (che chissà cosa voleva dimostrare) e Chiaravalloti, la figlia del futuro presidente (oggi passato) che sarebbe stato eletto anche con i miei voti. Anche per lui, nella visione della figlia, un concorso esterno? Sorprendente che qualche mese fa il padre abbia minimizzato l’antica vicenda (ormai 15 anni fa), dicendomi che la figlia non era convinta, ma aveva firmato «in automatico» e per «dovere d’ufficio».
Per Mori la situazione è più difficile e la persecuzione più lunga. Dopo un processo da cui è uscito assolto per la ridicola accusa di non avere perquisito il covo di Riina, lo troviamo ora alla Procura di Palermo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L’Unità scrive: «Non una “trattativa”, ma qualcosa di molto peggio: un sostegno indiretto a Cosa nostra... È un nuovo capitolo dell’inchiesta sulla “trattativa” e sul “patto” stretto da uomini delle istituzioni con Bernardo Provenzano, il capo dell’area moderata di Cosa nostra. Secondo l’ipotesi accusatoria dei pm Nino di Matteo e Antonio Ingroia, sarebbero stati parte di questa trattativa i colloqui che nel ’92, dopo la strage di Capaci, Mori e Giuseppe De Donno, il suo più fidato ufficiale, ebbero con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino».
Ma gli argomenti sono stupefacenti. Un uomo sceglie di fare il carabiniere, arriva al vertice della carriera, combatte la mafia, ottiene grandi risultati. Eppure, quando arriva a catturare Riina, evita deliberatamente di perquisire il suo covo per un sinistro disegno. Nel nuovo contesto accusatorio quella omissione viene letta come un preciso calcolo «per evitare il ritrovamento di documenti che avrebbero svelato la trattativa e compromesso il progetto di favorire la successione alla guida di Cosa nostra del “moderato” Provenzano»; perfido Mori, complice dei mafiosi cattura Riina per favorire Provenzano. Un’ipotesi estremamente convincente.
Ma ecco la rivelazione di un autorevolissimo pentito, pentito per procura, dal momento che parla a nome del padre: «Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, e Giovanni Brusca, hanno fatto i nomi di Nicola Mancino, oggi vicepresidente del Csm e ministro dell’Interno nel ’92, e di Virginio Rognoni, ministro della Difesa fino al giugno dello stesso anno», scrive sempre l’Unità. Per avere trattato con la mafia sono stati entrambi promossi vicepresidenti del Csm. Non bastava Andreotti; adesso altri due democristiani, fino a ieri irreprensibili, Mancino e Rognoni. E non è finita. Si passa alle bombe con, sullo sfondo, sempre carabinieri e ministri: per la Procura di Palermo, «l’ipotesi che la trattativa del ’93 sia andata avanti a colpi di bombe (a Firenze, Milano e Roma) era del pm fiorentino Gabriele Chelazzi. Nell’aprile del 2003, pochi giorni prima di morire stroncato da un infarto, interrogò Mori. Voleva sapere perché fra il 4 e il 6 novembre 1993 era stato revocato il 41 bis a 140 mafiosi detenuti nel carcere dell’Ucciardone. Secondo Alfonso Sabella, ex pm palermitano, Chelazzi aveva iscritto Mori nel registro degli indagati». Morale: Mori è mafioso. Cos’altro vuol dire concorso esterno?
E in Italia la lotta alla mafia non l’hanno fatta i carabinieri, ma la fa scrivendo e raccogliendo minacce soltanto Saviano che vive la scorta come una sofferenza, come una limitazione della libertà, che si lamenta di non poter più vivere in Italia ed è ogni giorno sui giornali o a teatro e domani sarà in televisione con Fazio, per continuare, da quella postazione, la sua lotta alla mafia. È sua intenzione, per la lotta alla mafia, chiamare al suo fianco Adriano Celentano e Bono degli U2.

Nell’Italia rovesciata l’Antimafia sono Celentano, Fazio, Bono e Saviano. Il colonnello Mori, che ha catturato Riina, e i carabinieri che hanno lavorato con lui come De Donno sono mafiosi. Mori rimpiange di non aver scritto un libro e di non aver chiesto una trasmissione televisiva.

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