Quanto è «esterofilo» il milanese: tutti i segreti del dialetto

Piccolo test di ingresso: qual è la lingua che, come il tedesco, costruisce la frase negativa mettendoci il «non» in fondo? E qual è quel vernacolo che, un po’ come in terra d’Albione, predilige il verbo dovere all’utilizzo di «avere» come ausiliare, o che per semplificare compone varie preposizioni con il verbo andare e, puff, in men che non si dica fa a meno dei verbi di moto ma non di una vasta gamma di significati? Vado su, ma vengo giù, Te capisset nagott? Ti sfugge la risposta? È il dialetto milanese, bellezza.
E per impararlo bisogna avere innanzitutto ottimi maestri oltre ad un orecchio fino per intendere le mille sfumature delle «o» e delle «e», specialmente quando impegnate in dittonghi spesso non riproducibile da ugole non «lombarde». A dare una mano a districarsi nella materia è il ciclo di incontri «El canton del meneghin», storia di Milano e del suo dialetto, che approda domani alle 18 alla Società Umanitaria. Questa volta si parla della Famiglia Meneghina, 85 anni spesi bene per promuovere la conoscenza della storia, dei costumi, dell’arte milanesi. A presentare l’associazione culturale sarà il suo presidente Alessandro Gerli. Dal 9 giugno 1924 la Famiglia Meneghina, con sede in via Sabotino e una biblioteca in via San Paolo, ha mantenuto salde le radici della cultura milanese anche grazie ad un’attività editoriale che si sintetizza in 40 libri e 42 almanacchi. Il ciclo, a cura di Ella Torretta, si iscrive nell’«Estate nei Chiostri» che raccoglie un pubblico vario, non fatto solo di abituali frequentatori dell’Umanitaria.

Nonni con nipoti refrattari al verbo locale, figli incapaci di parlare bene come i padri, germani più dotati nella dizione che sfidano fratelli e sorelle alla pugna verbale: la partecipazione non è solo passiva, per scoprire che il dialetto è una lingua tanto bella quanto difficile. (Info 02 5796831, domani alle 18).

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