Da Quattrocchi a Vic: quando l’Italia finisce nel mirino della jihad

Luca Rocca

Sequestri e assassinii, ricatti e torture. Una scia di sangue e paura lunga dieci anni. Che ha colpito al cuore l’Italia e gli italiani sparsi per il mondo. Che alla roulette russa del fanatismo non ha risparmiato volontari, religiosi, giornalisti, turisti, marinai, militari, agenti segreti, pescatori. La holding del principe nero Osama Bin Laden e le tante sigle di riferimento dell’integralismo islamico hanno spesso costretto il nostro Paese a issare bandiere a lutto. Nomi, date, lacrime. Per non dimenticare. Su tutti l’eroe inginocchiato a un passo dalla tomba e la sfida ai suoi aguzzini: «Adesso vi faccio vedere come muore un italiano»: si chiamava Fabrizio Quattrocchi. Era un contractors, una guardia di sicurezza ingaggiata da una società americana, sciaguratamente chiamato «mercenario» da un gip barese che prima di finire lui agli arresti domiciliari (poi scagionato) per possesso di armi da guerra, trascinò a processo i suoi tre compagni di disavventura in Iraq - Maurizio Agliana, Umberto Cupertino e Salvatore Stefio - in fine assolti. Il quartetto viene sequestrato il 13 aprile 2004 dalle «Falangi Verdi di Maometto» ma solo dopo 56 giorni un blitz delle forze speciali a trenta chilometri di Baghdad libera i connazionali orfani del collega coraggioso. A far la stessa fine di Fabrizio (sequestro, video con minacce, esecuzione) sette anni più tardi, e cioè il 15 aprile scorso, sarà Vittorio Arrigoni, il volontario-attivista filopalestinese strangolato a Gaza da un’organizzazione salafita vicina ad Al Qaeda. Nel dicembre 2004 finisce nel triangolo sunnita di Ramadi, nell’Iraq centrale, la vita di Salvatore Santoro, operatore dell’ong Charity for England and Wales, fermato a un checkpoint dai militanti del «Movimento islamico dei mujihadin dell’Iraq»: bendato, interrogato, mani legate dietro la schiena, finisce giustiziato come un cane rabbioso lungo la strada per Fallujia. Cinque mesi prima in un video girato ad Al Jazeera dai cameramen dell’«Esercito islamico in Iraq» venivano immortalate «immagini agghiaccianti» (l’espressione è del nostro ambasciatore a Doha) della spietata uccisione del giornalista del Diario, Enzo Baldoni, sequestrato il 20 agosto di quell’anno. Grazie al Sismi di Pollari e Mancini è andata invece bene a un’altra giornalista, Giuliana Sgrena, inviata del Manifesto, rapita nel 2005 dalla «Jihad islamica» e liberata dai Servizi un mese dopo in circostanze convulse che porteranno alla morte dello 007 Nicola Calipari ferito a morte dal «fuoco amico» americano. Assassinato dai talebani durante il blitz delle teste di cuoio britanniche, l’agente segreto Lorenzo D’Auria lascia questo mondo il 4 ottobre 2007. Vicinissimo alla dipartita, nello stesso anno, anche l’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, prelevato dai talebani del mullah Dadullah tra le province afghane di Kandahar e Helmand. Solo 19 marzo verrà liberato in cambio della scarcerazione di cinque talebani. Il suo interprete finirà decapitato, il mediatore di Emergency arrestato e solo successivamente liberato. Non rivedrà mai i suoi cari, purtroppo, Maria Grazia Cutuli del Corriere della Sera, assassinata brutalmente dai taliban con altri tre colleghi stranieri, nel 2001, vicino Kabul. Il volto della giovane operatrice della ong Care International, Clementina Cantoni, semioscurato da un velo islamico e da due mitragliatori puntati alla tempia, finisce in mondovisione in un filmato di una sigla radicale afghana che la rilascerà 24 giorni dopo. L’incubo per il fotoreporter Gabriele Torsello, sequestrato nel sud dell’Afghanistan, si chiude nel 2006 in 23 lunghissimi giorni. Sane e salve, inseguite da una scia di polemiche al loro ritorno in patria, anche «le due Simone». Al secolo, Simona Pari di Rimini, e Simona Torretta, romana, operatrici umanitarie dell’organizzazione «Un ponte per», eroine della sinistra antiamericana, sequestrate a Bagdad dai salafiti il 7 settembre 2004 e rilasciate in tre settimane al commissario della Croce Rossa, Maurizio Scelli. Ci sono voluti cinque mesi per parlare di epilogo positivo per Sergio Cicala e consorte rapiti nel 2010 nel sud-est della Mauritania dalla formazione «Al Qaeda del Maghreb». Nello Yemen integralista, fra le montagne di Sanaa, a gennaio 2006 i turisti Laura Tonetto, Piergiorgio Gamba, Camilla Ramigni, Patrizia Rossi e Enzo Bottillo vengono prelevati da un gruppo estremista e rinchiusi sei giorni in un covo, prima di essere salvati dalle forze speciali yemenite. La «tagliola» del Golfo di Aden, tra lo Yemen e la Somalia, vede i «pirati» qaedisti appropriarsi del rimorchiatore Bucaneer con dieci italiani a bordo, tornati vivi a casa a quattro mesi dal blitz. Appartenevano alla ong Cins Iolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, tre mesi nelle mani dei rapitori somali prima del rientro a casa a maggio 2008. Fra i 195 morti delle 62 ore di attacco dei «Mujaheddin del Daccan» e del gruppo «Lashkar e Taiba agli hotel di Mumbai (26 novembre 2008), perde la vita per una granata il consulente finanziario livornese Antonio di Lorenzo, altri 19 connazionali si salvano per caso da quell’inferno di bombe e proiettili. Ma è nel novembre del 2003 che il terrore entra nelle case degli italiani, quando 12 carabinieri, cinque militari dell’esercito e due civili vengono massacrati a Nassiriya, nel sud dell’Iraq, da un’autobomba di Al Zarqawi piombata nella base «Maestrale». La missione con più croci italiane all’occhiello (35) è quella in Iraq, seguita a ruota dai 34 militari tornati dall’Afghanistan in una bara avvolta nel tricolore. Morti e feriti non si contano nemmeno tra i missionari e le suore trucidati o feriti da fanatici di Allah.

L’elenco è sterminato, peschiamo a caso dalla sola Turchia: il parroco di Trebisonda, don Andrea Santoro, eliminato a pistolettate davanti all’altare; il vescovo Luigi Padovese, presidente della Conferenza episcopale, ucciso a coltellate nel giardino della sua casa di Iskenderun; il padre francescano Adriano Franchini accoltellato all’addome nella chiesa di Smirne. Omicidi in fotocopia al grido «Allah è grande». E così sia.

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